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Medicina
Morte feto durante parto, ostetrica condannata. La sentenza della Cassazione

Rischia una condanna per omicidio colposo il sanitario che compie errori durante il travaglio e il parto di una donna, tanto da non impedire la morte del feto: la Cassazione ha stabilito che in casi del genere è legittimo contestare il reato di omicidio colposo e non, invece, la fattispecie di aborto colposo, contemplata dalla legge 194, per cui sono previste pene ben più lievi. Il caso all'esame della Corte riguardava un processo a un'ostetrica, ora condannata in via definitiva a un anno e 9 mesi di reclusione (pena sospesa), ritenuta responsabile di omicidio colposo "per imprudenza, negligenza e imperizia" in relazione alla morte di un feto durante il parto, avvenuta nel novembre 2008 in una clinica di Salerno. L'imputata, secondo l'accusa, non aveva "tempestivamente" rilevato la "sofferenza fetale" che si era protratta per almeno mezz'ora - cosa che invece avrebbe "imposto di accelerare al massimo la fase espulsiva e l'estrazione del feto" - e aveva anche formulato al ginecologo "rassicurazioni" sul "regolare andamento del travaglio". Il feto era quindi "nato morto per asfissia perinatale". Dopo le sentenze conformi di condanna emesse dai giudici del merito, l'ostetrica aveva presentato ricorso alla Suprema Corte, lamentando "l'errata qualificazione giuridica" del fatto, da lei ritenuto aborto colposo e non omicidio colposo, sollecitando anche una trasmissione degli atti alla Consulta.

Secondo l'imputata, "la nascita del feto si realizza esclusivamente con la fuoriuscita dall'alveo materno e col compimento di un atto respiratorio", mentre nel caso in esame il feto "non aveva mai respirato autonomamente". Del tutto diversa la conclusione dei giudici del 'Palazzaccio', che hanno rigettato il ricorso: nella sentenza depositata oggi dalla quarta sezione penale, si sottolinea che "il criterio distintivo tra la fattispecie di interruzione colposa della gravidanza e quella di omicidio colposo si individua nell'inizio del travaglio e, dunque, nel raggiungimento dell'autonomia del feto, coincidendo quindi con la transizione dalla vita intrauterina e quella extrauterina". Una disciplina, questa, che la Cassazionedefinisce "priva di profili di incostituzionalità", innestata "in un quadro normativo e giurisprudenziale italiano ed internazionale di totale ampliamento della tutela della persona e della nozione di soggetto meritevole di tutela, che dal nascituro e al concepimento si è poi estesa fino all'embrione". Se non fosse così, infatti, conclude la sentenza, "alla naturale e fisiologica conclusione della gravidanza, il feto nascente sarebbe assurdamente tutelato, contro i fatti lesivi della vita individuale, solo nel caso di morte cagionata nelle condizioni di abbandono morale e materiale connesse al parto (fattispecie contemplata nell'articolo 578 del codice penale, ndr) e la mancanza di tale elemento specializzante comporterebbe un inaccettabile vuoto di tutela, stante l'impossibilità di applicare tanto il procurato aborto quanto l'omicidio".

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