Bussolati (Pd): “Sgombero del Leoncavallo atto ideologico, il centro era aperto al dialogo” - Affaritaliani.it

Milano

Ultimo aggiornamento: 20:19

Bussolati (Pd): “Sgombero del Leoncavallo atto ideologico, il centro era aperto al dialogo”

Il consigliere regionale dem accusa il governo di propaganda: “Non c’era emergenza sicurezza, scelta senza senso per coprire i propri fallimenti”

di Matteo Respinti

Ad Affaritaliani.it Milano, Pietro Bussolati (Pd) critica lo sgombero del Leoncavallo, definendolo un’operazione politica e ideologica voluta dal governo. A suo avviso, il centro sociale non era un problema di ordine pubblico ed era pronto a regolarizzarsi. Per Bussolati, sgomberarlo in questo modo significa rinunciare a una soluzione pragmatica per la città.

Bussolati (Pd): “Sgombero del Leoncavallo atto ideologico, il centro era aperto al dialogo”

Nell’intervista ad Affaritaliani.it Milano, Pietro Bussolati, consigliere regionale del Pd, critica duramente lo sgombero del Leoncavallo, definendolo un’operazione “ideologica” voluta dal governo e dal ministro Piantedosi per coprire le proprie difficoltà. A suo avviso, il centro sociale non rappresentava un problema di ordine pubblico ed era aperto al dialogo con le istituzioni. “Il Leoncavallo aveva scelto un percorso di legalità, sgomberarlo è stata una scelta senza senso”, sostiene, invitando il Comune a continuare sulla via della regolarizzazione degli spazi sociali.

Consigliere, le Forze dell’Ordine, su impulso del governo e del Viminale, hanno sgomberato il centro sociale Leoncavallo. Secondo lei, i milanesi si sono svegliati in una città più sicura e ordinata, come afferma il centrodestra, oppure Milano ha perso un luogo storico di cultura, arte e aggregazione?

Io credo che lo sgombero del Leoncavallo non abbia nulla a che fare con la sicurezza dei milanesi. È stata un’operazione ideologica, fatta per dare un segnale politico, la verità è che il Leoncavallo non rappresentava un problema di ordine pubblico. A me sembra piuttosto che si sia voluto coprire una grande figuraccia del governo, in particolare del ministro Piantedosi, nella gestione del grave omicidio di una donna avvenuto a Milano. In quell’occasione, il centrodestra aveva tentato di addossare responsabilità al sindaco Sala, ma poi i colpevoli sono stati catturati grazie al lavoro della polizia locale.
Ecco, dopo quella vicenda hanno voluto “mostrare i muscoli” con lo sgombero del Leoncavallo. Ma si tratta di una toppa peggiore del buco: non risolve nulla, non si offrono risposte concrete sulla sicurezza e si finisce per fare pura e semplice propaganda.

L’occupazione dello stabile di via Watteau durava da 31 anni. Perché, a suo avviso, lo sgombero è avvenuto proprio oggi, anticipando di settimane la data prevista? Potrebbe aver influito la situazione giudiziaria che vede coinvolta l’amministrazione cittadina o l’ipotesi di elezioni anticipate che gira nell’aria?

Non penso che ci siano le condizioni per elezioni anticipate, quindi, non vedo un legame con quella prospettiva. Penso piuttosto che si sia trattato di una scelta politica del governo, con una forte connotazione ideologica. Il centrodestra ha voluto dare un segnale di forza, senza preoccuparsi delle conseguenze reali per la città.
Il Leoncavallo, per quanto si trattasse di un’occupazione, aveva mostrato negli anni una disponibilità concreta al dialogo con le istituzioni. Non era un luogo che rifiutava il confronto, anzi: aveva perfino dato disponibilità a spostarsi e a cercare soluzioni regolari. È questo che rende ancora più incomprensibile lo sgombero anticipato: non c’era una necessità immediata, non c’era un’emergenza legata alla sicurezza.
L’unica chiave di lettura possibile è che si sia voluto compiere un atto simbolico, per dimostrare presenza sul territorio e tentare di mettere in ombra i problemi veri che il governo non riesce a gestire.

Rimane il fatto che l’occupazione fosse illegale: lo Stato è stato condannato a risarcire milioni di euro alla proprietà per i mancati sgomberi. Questo aspetto, a suo avviso, pesa, nella valutazione complessiva del Leoncavallo?

La regolarizzazione di quello stabile non era possibile perché la proprietà non era disponibile e il risarcimento è nato proprio da un ricorso della proprietà. Ma va ricordato che nel 2014, con l’allora vicesindaca Ada Lucia De Cesaris, si era trovata una soluzione molto sensata: la cessione dell’immobile di via Zama ai Cabassi, un’operazione che avrebbe permesso di riqualificare una periferia e dare una sede legale al Leoncavallo. Un esempio virtuoso di collaborazione pubblico-privato.

E poi cosa è successo?

L’operazione fu affossata sia dalla destra, per motivi ideologici, sia dall’estrema sinistra, rappresentata allora in Consiglio da Rifondazione Comunista. La verità è che il Leoncavallo non ha mai rifiutato il dialogo: era pronto a spostarsi e a regolarizzarsi. Oggi chi lega lo sgombero alle inchieste urbanistiche commette lo stesso errore di allora, confondendo gli avversari politici veri con chi cerca soluzioni pragmatiche.

I militanti del centro sociale hanno già fatto sapere di voler chiedere uno stabile regolare al Comune. Dal centrodestra arriva un secco “no”, in virtù degli anni di occupazione e abusivismo, che, dicono, non possono essere premiati. Le chiedo, il Comune dovrebbe aprire nuovamente il dialogo e concedere uno spazio?

Gli spazi sociali sono una ricchezza della città, ed è meglio che siano regolarizzati, nei casi in cui rispettano il vincolo della legalità e quando sono disponibili spazi adatti, piuttosto che lasciati nell’illegalità. Milano ha bisogno di luoghi di cultura alternativa e di dissenso, che vanno ricondotti alla legalità con progetti condivisi. Il Comune lo ha già fatto e continuerà a farlo, attraverso bandi e formule di dialogo con le forze vive della città. Certo, non si tratta di fare sanatorie: va affrontato caso per caso, laddove c’è un interesse collettivo e la possibilità di riqualificare immobili con una vocazione sociale.

Quindi, il Leoncavallo, e le altre realtà come questa, sono un valore aggiunto per Milano?

È un fatto che il Leoncavallo sia il centro sociale più storico di Milano e, al di là del giudizio nel merito, che può essere variegato, questo lo rende, in qualche modo, un elemento di valore culturale per la città. La sua regolarizzazione avrebbe avuto senso e avrebbe rafforzato le istituzioni. Perché, a mio avviso, togliere dall’illegalità spazi che dialogano con le istituzioni non è una sconfitta, ma una vittoria dello Stato.
Non possiamo giudicare un luogo solo per la sua storia di occupazione: le responsabilità penali sono individuali, non collettive. Se così non fosse, allora Salvini dovrebbe rispondere personalmente dei 49 milioni della Lega. Quello che conta è che il Leoncavallo aveva scelto un percorso di legalità e sgomberarlo in questo modo è stata una scelta che non ha senso.

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