Milano
Chi è Carlotta Vagnoli: dal femminismo digitale all’indagine della Procura di Monza
La scrittrice fiorentina, voce seguita del femminismo online con 377mila follower, è indagata insieme ad altre due attiviste per stalking e diffamazione

Carlotta Vagnoli
Chi è Carlotta Vagnoli: dal femminismo digitale all’indagine della Procura di Monza
Fiorentina, classe 1987, Carlotta Vagnoli si è fatta conoscere come autrice e divulgatrice sui temi di genere. Dopo gli esordi nel 2015 come sex columnist per “GQ” e “Playboy”, ha costruito una carriera che unisce scrittura, attivismo e comunicazione digitale. Nel 2021 ha pubblicato Maledetta sfortuna (Fabbri Editori), un saggio sulla violenza di genere e il linguaggio che la circonda, seguito da Poverine (Einaudi), Memorie delle mie puttane allegre (Marsilio) e Animali notturni (Einaudi). Attraverso i social — dove oggi conta 377mila follower — Vagnoli affronta temi come il consenso, la rappresentazione del corpo femminile e la responsabilità mediatica nella narrazione della violenza.
Parallelamente alla sua attività editoriale, dal 2017 tiene incontri nelle scuole medie e superiori per promuovere un’educazione al rispetto e alla parità di genere. “Fate rumore!”, il suo motto, è diventato un invito a reagire e a esporsi contro discriminazioni e abusi. Nel 2024 ha portato in teatro un monologo intitolato "Le solite stronze", una riflessione ironica e feroce sul ruolo delle donne nella società contemporanea.
Vagnoli, la vicenda giudiziaria e l’inchiesta di Monza
Negli ultimi giorni il nome di Carlotta Vagnoli è finito al centro di un caso giudiziario complesso. La Procura di Monza ha chiuso le indagini preliminari per stalking e diffamazione a carico suo, di Valeria Fonte e Benedetta Sabene. L’inchiesta nasce da una denuncia presentata da un uomo — identificato dalle iniziali A.S. — che accusa le tre attiviste di aver condotto una “campagna denigratoria” nei suoi confronti, dopo la fine di una relazione sentimentale.
Secondo l’accusa, i comportamenti delle tre avrebbero alimentato “un contesto relazionale ostile e potenzialmente lesivo”, tanto da spingere l’uomo a tentare il suicidio. Il procedimento è ora nelle mani del giudice per le indagini preliminari, che dovrà decidere se procedere a giudizio o archiviare il caso.
Un secondo filone dell’inchiesta riguarda Serena Mazzini, social media strategist e collaboratrice di Selvaggia Lucarelli. Mazzini ha denunciato di essere stata vittima di una campagna diffamatoria dopo aver sostenuto pubblicamente la versione del primo querelante. Le due vicende, collegate, ruotano attorno a un gruppo WhatsApp denominato “Fascistella”, i cui contenuti — migliaia di messaggi scambiati da marzo 2024 a gennaio 2025 — sono stati analizzati dagli inquirenti.
“Le sorelle di chat”: l’articolo di Lucarelli e l'esplosione del caso mediatico
Il caso è esploso mediaticamente il 31 ottobre, quando Selvaggia Lucarelli ha pubblicato sul Fatto Quotidiano l’articolo “Le sorelle di chat: gli insulti-influencer a Murgia, Sala & Co.”, basato su stralci del fascicolo depositato alla Procura. Nel testo vengono riportati messaggi della chat “Fascistella”, in cui compaiono commenti offensivi su personaggi pubblici come Michela Murgia, Cecilia Sala e persino il presidente della Repubblica.
Lucarelli sostiene che il materiale provenga da atti ufficiali, accessibili alle parti, e che l’interesse pubblico risieda nel mostrare “la distanza tra l’immagine pubblica delle attiviste e la realtà privata emersa dalle conversazioni”. Il suo articolo ha sollevato un acceso dibattito sul confine tra libertà di espressione e persecuzione online, ma anche sull’etica del giornalismo d’inchiesta e sull’uso dei materiali giudiziari.
Il confronto pubblico sulle chat della Vagnoli (e sulla loro pubblicazione)
Vagnoli e le altre indagate hanno respinto con forza le accuse e contestato la pubblicazione delle chat. “Sono sconcertata dall’inutilità di quel pezzo”, ha scritto l’attivista su Instagram. “È bizzarro come una persona estranea al processo abbia avuto accesso a materiali secretati fino alla decisione del gip. Si è calpestato il diritto delle persone in indagine e messa a rischio la loro incolumità”. In un’altra storia, Vagnoli ha affermato che “il reato di antipatia non esiste”, accusando Lucarelli di utilizzare “metodi fascisti per punire i nemici”. Anche Valeria Fonte e Benedetta Sabene hanno preso le distanze dalle accuse, rivendicando la propria libertà di parola e sostenendo che le chat siano state estrapolate e travisate.
Dal canto suo, Lucarelli ha ribadito la legittimità del suo lavoro: “Il materiale proviene da atti ufficiali e racconta una vicenda di interesse pubblico”, ha spiegato al Corriere della Sera. “Il punto è l’incoerenza tra l’immagine pubblica di alcune figure e ciò che emerge dalle loro parole private”.
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