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Covid, è il tempo delle procure. A che punto sono le inchieste

Covid, è il tempo delle procure. A che punto sono le inchieste

Un palazzo di giustizia è come uno specchio rovesciato, in cui gli eventi umani, quelli che avvengono “fuori”, arrivano e si presentano nella loro versione distorta e degenerata. Se fuori la realtà è composita, con il bene e il male, a Palazzo finisce solo (come è ovvio) il presunto male. E così è anche per la vicenda della pandemia, che ha mostrato da un lato l’abnegazione e la generosità di alcuni, dall’altro il clima d’odio, il sospetto, l’approssimazione, quando non la presunta malagestione di altri; patologie di cui l’Italia soffre da sempre.

L’aspetto giudiziario del Covid 19 ha mille facce, dalle inchieste sui morti nelle Rsa, a quelle sulle minacce al presidente della Regione Lombardia, Attilio Fontana. Solo fra qualche anno, probabilmente, leggeremo i fatti con uno sguardo privo di animosità e partigianeria, e soprattutto con sentenze definitive.

LE INCHIESTE IN CORSO  LA RICOGNIZIONE DI AFFARITALIANI.IT MILANO

RSA - Il filone più consistente - ad oggi - è certamente quello degli anziani morti soli nelle case di cura. Solo alla procura di Milano sono 25 i fascicoli aperti, uno per ogni struttura. Il complesso delle indagini è nelle mani del dipartimento tutela della Salute, guidato dall’Aggiunto, Tiziana Siciliano, che ha poi delegato ai singoli pm le verifiche sulle singole case di riposo. Al centro dell’attenzione c’è certamente il Pio Albergo Trivulzio; al momento l’indagato principale è il direttore generale Giuseppe Calicchio.

Il lavoro che stanno facendo i pm - i quali si sono affidati ad un gruppo di consulenti guidati da un epidemiologo - è quello di scandagliare le cartelle cliniche dei pazienti, deceduti per Covid accertato o sospetto. Il tentativo è di provare il nesso di causalità tra le direttive regionali (in particolare la delibera del 9 marzo che disponeva la possibilità per le Rsa che avessero padiglioni e personale separati di accogliere pazienti Covid a bassa intensità) e l’applicazione dei protocolli nelle strutture per anziani. Secondo i dati della Regione sono state pochissime le strutture che hanno aderito alla convenzione, e tra queste non c'è il Pio Albergo Trivulzio. Ad ogni modo sotto la lente sono le morti in massa di anziani, falcidiati dal virus a causa della loro fragilità fisica e della promiscuità che caratterizza le case di riposo.

Il Covid ha fatto danni anche alla Fondazione Palazzolo-Don Gnocchi, altro colosso della cura con 28 centri in 9 regioni. Mentre ad alimentare il contrasto con la direzione del Trivulzio è stato ed è il Comitato dei Parenti, in questo caso a denunciare sono stati i 18 dipendenti di una cooperativa interna. Nel loro esposto compare una disposizione dei vertici in cui si vietava di usare i dispositivi di protezione per non spaventare gli ospiti. La posizione è rafforzata da una denuncia depositata il primo di giugno, dove una dipendente di un’altra struttura che afferisce alla galassia Don Gnocchi, ma a Parma, conferma come anche a lei fosse stato impedito di usare la mascherina: la 50enne ha peraltro contratto il virus e punta il dito contro la direzione sanitaria, accusata di negligenza e di essere direttamente responsabile della sua malattia.

TEST E OSPEDALE IN FIERA - Sul fronte economico i temi caldi sono i test sierologici e l’ospedale in Fiera. Per quanto riguarda i primi, la polemica riguarda la sperimentazione della multinazionale Diasorin dopo un accordo con il Policlinico di Pavia. Ad aprire la querelle in questo caso è stata la concorrenza tra big pharma: il ricorso è stato presentato dalla Technogenetics, azienda concorrente, che al Tar ha contestato la stipula del contratto tra un’azienda privata e un’università pubblica. La direzione del San Matteo ha sempre però ribadito sia l'interesse pubblico che la trasparenza che la convenienza dell'operazione. Il pronunciamento di merito del tribunale amministrativo sarebbe dovuto arrivare in breve tempo, ma sono passate circa tre settimane e la decisione non è stata ancora depositata.

Vista l’entità dell’opera e l’entità della spesa (17 milioni di euro dei quasi 23 raccolti) l’inchiesta mediaticamente più esposta è stata quella per le terapie intensive costruite in Fiera a Milano. Nel periodo più nero della pandemia l’unica via per affrontare l’emergenza pareva quella di seguire il modello Wuhan, con letti creati anche in strutture scollegate dagli ospedali. Dei 221 posti disponibili, poco più di una ventina hanno visto un paziente, e questo ha suscitato molte polemiche e anche un esposto. La precisazione da fare è che i fondi per la realizzazione sono interamente privati. Tuttavia è proprio questo il punto nodale: l'idea degli inquirenti è accertare che cosa sia successo poiché la finalità del loro utilizzo è chiaramente pubblica. Il nesso è difficile da provare, ma proprio sull'uso di fondi privati per un fine pubblico lavoreranno investigatori e inquirenti. La sezione è quella per i reati economici guidata da Maurizio Romanelli. L’apertura di un’indagine è stata peraltro un atto dovuto dopo l’esposto dei Cobas. E' da capire se finirà nel vuoto oppure sarà la base per un accertamento approfondito.

LE MASCHERINE - E’ sempre un esposto dei sindacati di base a portare alla luce il caso delle mascherine Fippi. “Le mascherine lombarde” le avevano chiamate in Regione, che ne ha ordinate 18 milioni di pezzi (per oltre 8 milioni di euro) all’azienda rhodense produttrice di pannolini. Con lo stesso materiale - che si dovrà capire se adatto oppure no - l’azienda realizza un prototipo di mascherina, che però medici e infermieri non avrebbero usato. Per quello che si sa, i bancali di mascherine Fippi sono rimasti confinati o nel magazzino della Regione o in quelli degli ospedali. Il reato ipotizzato in questo caso è frode nelle forniture pubbliche e il fascicolo rimane aperto a Milano.

LE MINACCE AL PRESIDENTE - Che si sia trattato di errori materiali, di incompetenza o di una ”bomba atomica” imprevedibile e incontrollabile, il coronavirus e il lockdown hanno esasperato gli animi e le tifoserie. Gli estremi si sono raggiunti con il murales contro il governatore Attilio Fontana, comparso in zona Crescenzago a Milano: “Fontana assassino”, si leggeva. Firmato “Carc”, comitati di appoggio alla resistenza per il comunismo, che hanno poi rivendicato il gesto: “Siamo stati fin troppo morbidi, faremo di meglio”. Di qualche giorno dopo la notizia della scorta assegnatagli dalla prefettura di Varese. Nel frattempo l’esasperazione degli animi non era passata inosservata nemmeno alla procura di Milano - sezione antiterrorismo, guidata da Alberto Nobili, che ha aperto un fascicolo per minacce e diffamazione: gli autori della scritta sarebbero stati identificati. Dal canto suo la difesa di Fontana ha prodotto un dossier di una trentina di pagine con un titolo preciso: ‘Clima d’odio’ e lo ha depositato: la raccolta documentale, che andrà a fornire elementi ad eventuali indagini, contiene oltre ai post, alle foto, e alle minacce esplicite come ‘devi morire’, rivolte al presidente, anche una lettera anonima indirizzata ai suoi familiari: lo sgrammaticato scrivente intima un incidente stradale ‘del tutto casuale’ che potrebbe colpirli.

NEMBRO E ALZANO - Ultima ma nient’affatto ultima è l’inchiesta di Bergamo sulla mancata zona rossa ad Alzano e Nembro. Fontana e Gallera sono stati già sentiti come persone informate sui fatti, ma - a sorpresa - il procuratore aggiunto pro tempore, Maria Cristina Rota, ad indagini appena cominciate ha già anticipato che, per gli elementi ad ora in possesso, il compito di istituirla sarebbe stato del Governo di Roma.

 

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