Milano
E “Così fan tutte” diventò “Temptation Island”
L'opera di Mozart alla Scala per la regia di Robert Carsen

"Così fan tutte". Foto: Vito Lorusso/Teatro alla Scala
E “Così fan tutte” diventò “Temptation Island”
Alcune premesse sono doverose prima di parlare del “Così fan tutte” rappresentato alla Scala in questo scorcio di novembre. Il vostro cronista:
- è cresciuto a pane e “Così fan tutte”, sotto la doccia canta frequentemente il terzetto maschile iniziale (“La mia Dorabella capace non è...”), conosce quasi per intero a memoria quel gioiello purissimo che è il libretto di Lorenzo Da Ponte, Dorabella e Fiordiligi sono le sue più care amiche;
- considera Robert Carsen – insieme a Damiano Michieletto - il più grande regista vivente e “Les dialogues des Carmélites” e “Don Giovanni” due tra gli spettacoli più belli (anzi, diciamolo forte e chiaro, i più belli) che abbia mai visto a teatro;
- ha poca dimestichezza con i reality televisivi, anche se qualche occhiata ogni tanto, facendo zapping, su “Tempation Island” l'ha gettata.
Dunque, com'è stato il “Così” scaligero di Robert Carsen, diretto da Alexander Soddy? Tra la prima rappresentazione e quella a cui ha assistito il vostro cronista sono apparsi in rete centinaia di commenti, che hanno diviso in due le tifoserie, come Mosè aveva fatto con le acque del Mar Rosso: la curva Sud dei carseniani e la curva Nord degli anti-carseniani. Come sempre, nihil novi sub sole.
In sintesi: lo spettacolo dal punto di vista teatrale è stato uno dei più divertenti e coinvolgenti a cui il vostro cronista abbia mai assistito. Prodigioso controllo della macchina scenica e delle tecnologie (eccezionale la qualità dei video, sia quelli prodotti con l'IA sia quelli ripresi in diretta dall'operatore sul palco e riproposti in tempo reale sui maxischermi), capacità di far recitare anche le pietre, scenografie, costumi, luci perfetti in relazione alla lettura che il regista ha dato dell'opera.
In pratica “Così fan tutte” viene letto come se fosse “Tempation Island”, un reality a premi (infatti nella scena finale il titolo dell'opera viene proiettato con la € di euro al posto della e normale: “Così fan tutt€”).
Sembra eresia e invece non lo è, perché Lorenzo Da Ponte ha scritto una “Temptation Island” dei suoi tempi: una “scuola degli amanti” (sottotitolo dell'opera) con due “registi” (Don Alfonso e Despina) che lucidamente e cinicamente organizzano e dirigono il gioco delle tentazioni incrociate. Ci sta, è possibile, ma bisogna essere Carsen per riuscirci. E Carsen c'è riuscito. Punto. Al netto delle numerose incogruenze rispetto al libretto. Solo una fra le tante: il “legno più lieve” su cui si imbarcano Guglielmo e Ferrando, e che dovrà essere sospinto dal vento “soave”, è una gigantesca portaerei, prodott della IA con spettacolare effetto visivo, a cui il venticello auspicato non può fare nemmeno il solletico... Però tutto molto bello, scenicamente parlando.
Detto questo la riflessione si sposta su un altro livello. Il vostro cronista è un fautore delle “attualizzazioni” delle opere, purché appunto ci si chiami Carsen, o Michieletto o pochi altri. Ma un'opera come “Così fan tutte” forse più che con l'attualizzazione in un contesto a noi contemporaneo vedrebbe esaltata la sua natura profonda con una interpretazione atemporale, astratta, perché le alte geometrie dei comportamenti e dei sentimenti che sono il cuore di questo capolavoro non hanno tempo e insieme appartengono a “tutti i tempi”. In sintesi, lo spettacolo ci ha divertito suscitando il sorriso e scatenando il riso, ma non ci ha trasmesso pathos. Un grande, grandioso esercizio di stile.
Una parte musicale non all'altezza dello spettacolo sul palcoscenico
E la parte musicale? Non certo all'altezza dello spettacolo che andava in scena sul palcoscenico. Alexander Soddy, il giovane direttore inglese che è ormai già più di una promessa (ce lo siamo persi nel “Ring” dei mesi scorsi, in cui sembra sia stato prodigioso; cercheremo di recuperarlo nella prossima stagione) attacca l'ouverture in maniera secca, asciutta, da barocchista. Poi usa il fortepiano (è lui stesso alla tastiera) anziché il classico clavicembalo: suono sordo e opaco che toglie brilllantezza ai recitativi.
Forse filologicamente il fortepiano è più corretto del clavicembalo, ma allora per coerenza lo devi inserire in un'orchestra barocca per organico, strumenti e stile esecutivo. Mentre l'orchestra era una “normale” orchestra da primo Ottocento. Per di più con gli ottoni non in grande serata. Soddy ha fatto cose egregie, come un “Soave sia il vento” e il quintetto “Di scrivermi ogni giorno” effettivamente soavi, altre meno: ad esempio il duetto “Prenderò quel brunettino”, che è una delle frasi musicali più maliziose e seducenti scritte da Mozart, diventa una marcetta veloce in cui la parodia si sostituisce alla grazia. Poi qualche scollamento tra buca e palcoscenico, ancorché niente di particolarmente grave.
Compagnia di canto: bene Elsa Dreisig come Fiordiligi (ci era già piaciuta due anni fa nelle “Nozze di Figaro” scaligere dove Micheletti faceva Figaro): stenta un po' in “Come scoglio” ma poi convince in “Per pietà”; molto bene la Dorabella di Nina van Essen. I due giovanotti (Luca Micheletti- Guglielmo, Giovanni Sala-Ferrando) tendono a forzare le voci perdendo in fluidità e morbidezza (al momento di “Un'aura amorosa” ci siamo improvvisamente sentiti orfani di Luigi Alva...).
Gerard Finley disegna un Don Alfonso elegante e sornione, complice anche una dizione eccellente, ma il volume di voce non è adeguato alla profondità del palcoscenico. Infine Despina, una Sandrine Piau che definire pessima è un complimento: peggio di lei alla Scala abbiamo sentito solo Ain Anger, sgraziato Fiesco nell'orrendo “Simon Boccanegra” di due anni fa.
Viva Mozart, viva Da Ponte e viva anche... Carsen
E comunque, ora e sempre, viva Mozart, il più grande indagatore del cuore dell'uomo insieme a Giuseppe Verdi. La sua musica è sempre sublime, e in “Così fan tutte” - se si può dire - sublimissima, sublimerrima. Per non parlare di Lorenzo Da Ponte: solo un genio può scrivere un verso come “Non può quel che vuole, vorrà quel che può”, esaltazione ironica del pragmatismo... Il vostro cronista uscendo da teatro allegro e felice canticchiava tra sé il duettino in cui Fiordiligi e Dorabella si spartiscono gli amanti. Segno che lo spettacolo gli era calato nelle vene. Per cui viva anche, ora e sempre, Robert Carsen.
Recensione basata sulla rappresentazione di martedì 18 novembre 2025
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