Giorgio Armani e Milano, storia di un legame indissolubile: "E' il centro del mio mondo" - Affaritaliani.it

Milano

Ultimo aggiornamento: 15:49

Giorgio Armani e Milano, storia di un legame indissolubile: "E' il centro del mio mondo"

Dal debutto come vetrinista alla Rinascente al mito dell’Armani/Silos: storia di un imprenditore che ha reso la città capitale della moda, tra eleganza, mecenatismo e impegno civile. L'headquarter, il basket, l'Ambrogino, l'impegno civico

di Federico Ughi

Giorgio Armani e Milano, storia di un legame indissolubile: "E' il centro del mio mondo"

Il Re è morto. Milano piange il genio creativo di Giorgio Armani, che ha legato in modo indissolubile il suo nome e il suo destino alla città della Madonnina. "Milano è il centro del mio mondo, mi ispira da sempre", diceva appena un anno fa. Con lui se ne va il simbolo di un’eleganza che ha fatto scuola, un imprenditore che ha intrecciato la propria storia a quella di Milano. Un legame indissolubile, fatto di creatività, visione e gesti concreti a sostegno della comunità.

I luoghi di Milano che raccontano Giorgio Armani 

Tanti i luoghi della città che oggi continuano a parlare di Re Giorgio e a raccontarne la storia. Armani ha reso Milano la sua passerella permanente. Lasciati alle spalle gli esordi come vetrinista in Rinascente, ecco la storica boutique di via Sant’Andrea fondata nel 1975 al grande store di via Manzoni con Armani Caffè, Nobu e Armani Hotel. Poi via Bergognone, con l’headquarter e l’Armani/Teatro, progettato da Tadao Ando, teatro delle sue sfilate e trampolino di lancio per giovani talenti come Andrea Pompilio, Stella Jean, Julian Zigerli, Christian Pellizzari, Vivetta. Nel 2015 lo stilista ha inaugurato l’Armani/Silos, museo da 50 milioni di euro ricavato da un ex magazzino Nestlé, che custodisce la sua collezione e ospita mostre come quella dedicata ad Aldo Fallai. Le celebrazioni per i 50 anni della maison si sono svolte a Milano, con eventi che hanno incluso l’Armani/Archivio, una grande mostra e una sfilata alla Pinacoteca di Brera.

Armani e Milano: l'impegno sociale e ambientale

Giorgio Armani da Milano ha avuto tanto. Ma tanto ha anche voluto ridare. Ha sostenuto storicamente l’Opera San Francesco per i Poveri e nel 2024 ha donato l’opera Non sei sola al Wall of Dolls, il manifesto permanente contro la violenza di genere in via De Amicis. Sul fronte ambientale ha promosso il progetto Milano Green Circle 90/91, per rinaturalizzare le linee filoviarie piantando alberi e arbusti, in collaborazione con il Comune e Forestami. “La nostra salute dipende dal rispetto dell’ambiente, così come da un senso di collettività. Con Forestami la città diventerà più vivibile, più sana, più accogliente, e certamente più bella”, dichiarò Armani al lancio del progetto. Durante la pandemia del 2020, convertì le fabbriche per produrre camici destinati agli ospedali, donò oltre 2 milioni di euro alla sanità e riempì la città con cartelloni che recitavano: “Io ci sono per Milano, con i milanesi, con sentimento”.

Giorgio Armani, il basket, il laboratorio di formazione cinematografica

Oltre alla moda, Armani ha lasciato un segno nello sport e nell’arte. Nel 2008 rilevò la proprietà della storica Pallacanestro Olimpia Milano, rinominata EA7 Emporio Armani Milano, riportandola al vertice: sei scudetti, 4 Coppa Italia, 4 Supercoppa e un vivaio giovanile di grande valore. Nel 2017 e 2018 fondò Armani/Laboratorio, progetto di formazione cinematografica gratuita per giovani studenti con maestri come Tornatore, Guadagnino, Ozpetek e Muccino. Nel 2014 finanziò la Pinacoteca di Brera con 300mila euro per la mostra su Bramante.

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"Mi piace Milano, ma non c'è più l'umanità di un tempo"

Novant’anni compiuti nel luglio 2024, Armani era rimasto fino alla fine alla guida della sua azienda, fedele al motto piemontese “chi vende non è più suo”. In un’intervista al Corriere della Sera aveva confidato: “Mi piace come stanno rimettendo a posto Milano, le case restaurate, ma non mi piace la gente che ci gira. Non c’è più l’umanità di un tempo”. Con la sua scomparsa, Milano perde non solo lo stilista che ha vestito generazioni intere, ma anche un imprenditore che ha dato identità alla città, trasformandola in capitale mondiale della moda.

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