Milano
Immigrazione, violenza e quel velo ipocrita del politicamente corretto
La ragazza stuprata nel milanese, ora ricoverata al Policlinico di Milano, è una vittima due volte. La prima, dell’atrocità che ha subito. La seconda, di una società che finge di non vedere le cause, preferendo ripararsi dietro al paravento del “politicam

Immigrazione, violenza e quel velo ipocrita del politicamente corretto
La ragazza stuprata nel milanese, ora ricoverata al Policlinico di Milano, è una vittima due volte. La prima, dell’atrocità che ha subito. La seconda, di una società che finge di non vedere le cause, preferendo ripararsi dietro al paravento del “politicamente corretto”.
In Italia è diventato un delitto perfino nominare il problema: l’immigrazione incontrollata. Non quella sana, di chi arriva per lavorare, integrarsi e rispettare le nostre regole. Ma quella che si riversa nelle nostre città senza documenti, senza prospettive, senza un domani. È lì, in quel limbo, che germogliano disperazione e violenza. E quando il degrado esplode in fatti di sangue o in episodi come quello che ha sconvolto Milano, si grida allo scandalo ma subito dopo si torna a tacere. Perché parlarne “non sta bene”.
Eppure basterebbe guardarsi intorno. Le periferie delle nostre città si stanno trasformando in terre di nessuno: accampamenti improvvisati, bande che vivono di piccoli e grandi crimini, quartieri dove lo Stato è un ricordo e il cittadino onesto si rassegna a girare alla larga.
C’è poi un’altra vittima di questa ipocrisia: le forze dell’ordine. Poliziotti e carabinieri, pochi, malpagati, spesso messi sul banco degli imputati appena osano alzare la voce o la mano. Mentre loro devono barcamenarsi tra codici e cavilli, chi stupra o rapina non ha simili scrupoli. È facile indignarsi leggendo i titoli dei giornali; meno facile riconoscere che quegli uomini e quelle donne in divisa sono l’unico vero argine che ci rimane.
La verità è che servono strumenti straordinari. Leggi più severe, poteri speciali a chi deve garantire l’ordine, politiche di immigrazione finalmente fondate su regole chiare: chi entra deve avere diritto, chi non ha diritto deve essere rimandato indietro. Tutto il resto è ipocrisia.
La sicurezza non è un lusso da convegno, è la condizione minima di una convivenza civile. Fingere che non esista un legame tra immigrazione fuori controllo e degrado sociale è un’offesa, prima di tutto, a quella ragazza che oggi lotta in un letto d’ospedale.
E se non troviamo il coraggio di dirlo, allora avremo già scelto da che parte stare: non con le vittime, non con le forze dell’ordine, ma con l’illusione compiacente di chi preferisce un’elegante menzogna alla scomoda verità.
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