Milano
Milano, l'amico di Ramy ricorre contro la condanna per resistenza: "Dai carabinieri soprusi e prepotenza"
La difesa di Fares Bouzidi: "I carabinieri avrebbero potuto desistere. L'inseguimento fu ingiustificato e imprudente"

Fares Bouzidi
Milano, l'amico di Ramy ricorre contro la condanna per resistenza: "Dai carabinieri soprusi e prepotenza"
Le espressioni utilizzate dai carabinieri durante l’inseguimento e registrate dalle dash cam e body cam di servizio rivelerebbero “un atteggiamento di disprezzo e sopruso incompatibile con il corretto esercizio della funzione pubblica” e una condotta “improntata a prepotenza e tracotanza, palesemente sproporzionata rispetto alle finalità perseguite”. È quanto sostengono gli avvocati Debora Piazza e Marco Romagnoli nell’atto d’appello depositato contro la condanna a 2 anni e 8 mesi inflitta a Fares Bouzidi, accusato di resistenza a pubblico ufficiale. Bouzidi era in sella allo scooter T-Max guidato da Ramy Elgaml, il 22enne morto il 24 novembre 2024 dopo uno schianto al termine di un inseguimento di circa otto chilometri tra Via Ripamonti e Via Quaranta, a Milano. La sentenza era stata pronunciata il 26 giugno dal GUP Fabrizio Filice, su richiesta dei PM Giancarla Serafini e Marco Cirigliano, nell’ambito del rito abbreviato. Nel processo, i sei carabinieri delle tre pattuglie coinvolte – assistiti dagli avvocati Paolo Sevesi, Arianna Dutto e Armando Simbari – si erano costituiti parti civili ottenendo un risarcimento di 2.000 euro ciascuno.
La difesa di Fares Bouzidi: “Non punibile, i militari eccedettero con atti arbitrari”
Nel ricorso, la difesa chiede alla Corte d’Appello di riconoscere la “non punibilità” del giovane, sostenendo che il fatto sarebbe stato causato dalla condotta dei militari, che avrebbero ecceduto “con atti arbitrari i limiti delle proprie attribuzioni”, come previsto da una specifica scriminante del codice. Gli avvocati richiamano, inoltre, alcune frasi pronunciate dai carabinieri e già emerse dalle registrazioni: “vaff… non è caduto”, “speriamo si schiantino ‘sti pezzi di mer…”, “chiudilo, chiudilo che cade”. Passaggi che, secondo la difesa, confermerebbero una condotta aggressiva e sproporzionata. Il ricorso cita anche un presunto speronamento da parte dell’ultima pattuglia inseguitrice, elemento che era già stato oggetto di contrasto durante il primo grado.
Milano, l'inseguimento e la dinamica dello schianto
Secondo la difesa, è “pacifico” che i carabinieri avessero già acquisito la targa del veicolo durante l’inseguimento: per questo, “ben avrebbero potuto e dovuto interrompere l’azione, limitandosi alle contestazioni di rito”. La prosecuzione “ingiustificata e imprudente” avrebbe comportato “un inutile aggravamento del rischio per la collettività” e per l’incolumità di conducente e passeggero, fino allo schianto in cui morì il giovane Ramy. Di diverso avviso il giudice di primo grado, secondo cui la condotta di Bouzidi fu “esclusivamente qualificabile come illegale e antidoverosa”, e gli operanti avevano “il dovere istituzionale” di procedere all’inseguimento. È inoltre “perfettamente concepibile”, secondo il GUP, che gli agenti – di fronte alla fuga – abbiano ipotizzato motivazioni più gravi di quelle poi emerse: il 22enne guidava, infatti, il T-Max senza patente.
Le altre indagini: omicidio stradale e presunti depistaggi
Parallelamente al processo per resistenza, Bouzidi è anche indagato per omicidio stradale insieme al carabiniere che guidava l’ultima auto dell’inseguimento. La Procura di Milano ha chiuso le indagini anche nei confronti di altri quattro militari, accusati di favoreggiamento e depistaggio. Per due volte il GIP ha respinto la richiesta di una perizia sulla dinamica dell’incidente. Ora la Procura dovrà decidere se chiedere o meno il rinvio a giudizio per tutti gli indagati.












