Milano
Milano, da place to be a place to stay
Milano deve ripensarsi ripartendo dalle sue più profonde vocazioni. E ricordando che storicamente i passaggi decisivi del suo svilippo sono stati resi possibili dall’intervento pubblico

Milano, da place to be a place to stay
L’immagine di Milano come place to be, il luogo dove “bisogna esserci”, è ormai diventata quasi un luogo comune. Non è un concetto nuovo: diversi osservatori hanno già sottolineato questa formula che, per anni, ha ben descritto la vitalità e l’attrattività della città. Ma oggi quel paradigma appare insufficiente. Non basta più dire che Milano è la capitale delle opportunità, delle luci, delle mode e dei grandi eventi. Serve uno scatto ulteriore: Milano deve trasformarsi da place to be a place to stay, una città cioè in cui non solo si arriva, ma in cui si decide di restare.
Milano e la pericolosa retorica della "mano invisibile"
Ed è qui che la retorica della “mano invisibile” si rivela pericolosa. Non possiamo pensare che le cose vadano avanti da sole, affidandoci al mercato o all’iniziativa privata, pur straordinaria. La storia di Milano dimostra che i passaggi decisivi sono stati resi possibili dall’intervento pubblico: la fondazione della Ca’ Granda come simbolo della sanità e della cura, il sistema dei trasporti urbani che ha dato alla città un vantaggio competitivo enorme, l’edilizia popolare che ha permesso a generazioni di famiglie di trovare casa e stabilità. Sono esempi concreti di una politica alta, capace di guidare, di assumersi responsabilità e di affiancare, senza mai sostituirla, l’energia della società milanese.
Oggi le sfide hanno dimensioni tali da non poter essere affrontate nemmeno da grandi protagonisti filantropici come la Fondazione Cariplo, che pure ha segnato la storia del welfare cittadino. È proprio nell’ottica della sussidiarietà che il pubblico deve riprendersi il suo ruolo, farsi carico delle decisioni e tracciare una direzione. Sussidiarietà non significa scaricare sul privato o sul terzo settore il peso dei problemi, ma al contrario riconoscerne il contributo e integrarlo con una responsabilità pubblica forte e chiara.
Ripartire dalle più profonde vocazioni della città di Milano
Le scelte da compiere devono partire dalle vocazioni profonde di Milano. Se la città è capitale della sanità, perché non prevedere che gli operatori sanitari abbiano libera circolazione anche in Area C, come riconoscimento tangibile a chi ogni giorno contribuisce alla salute di migliaia di cittadini? Se Milano è capitale della moda, perché non creare finalmente un Museo della Moda, capace di raccontare la storia e l’influenza di questo settore e al tempo stesso di attirare turismo e cultura internazionale? Se Milano è capitale dell’università e della ricerca, perché non sviluppare strumenti che favoriscano la permanenza dei giovani laureati, offrendo soluzioni abitative accessibili legate a percorsi di innovazione e startup, in modo che il talento che qui si forma non sia costretto a partire altrove?
Milano non può più continuare a vivere di rendita
Il punto è che Milano non può vivere di rendita sul proprio fascino. Senza un disegno politico chiaro, rischia di ridursi a vetrina, una città di passaggio che affascina ma non trattiene. La vera sfida, invece, è tornare a concepire Milano come progetto comune, capace di incarnare e rinnovare le proprie vocazioni. Solo così la città potrà diventare davvero non soltanto un place to be, ma un place to stay.