Milano
Milano e la fine degli "eventi pulsar": dopo le Olimpiadi servirà un nuovo modello
Dopo i Giochi invernali, non sono all'orizzonte per Milano altri grandi eventi. LA città dovrà puntare su “eventi iterativi” per mantenere vivo il tessuto sociale e la sua vivacità culturale. Il commento

Milano e la fine degli "eventi pulsar": dopo le Olimpiadi servirà un nuovo modello
L'Expo 2025 di Osaka ha chiuso con 22,05 milioni di persone che hanno percorso gli immensi spazi sotto il “ring”, l’enorme struttura di legno ad anello che “conteneva” le esposizioni all’interno dell’isola artificiale. A Milano, per fare un paragone, sono stati dichiarati 21 milioni di persone all’ombra dell’Albero della Vita. Quanto ci ha guadagnato il Giappone? Difficile calcolare l’indotto oggi. A livello operativo, il surplus è di circa 28 miliardi di yen, circa 160 milioni di euro. L’Expo di Milano chiuse con circa 3 milioni di utile. Ma al di là del risultato immediato è l’indotto che conta.
Nel 2016 Il Sole 24 ore si esercitò con un modello matematico interessante. Secondo questo studio “l’indotto economico stimato per la Lombardia sul medesimo arco temporale è pari a 18,7 miliardi in termini di produzione aggiuntiva, con un valore aggiunto di 8,6 miliardi e un impatto occupazionale di 132mila unità annue. Per Milano l’indotto economico è stimato in 16,1 miliardi, con un valore aggiunto di 7,4 miliardi e un impatto occupazionale di 115mila unità di lavoro”. Insomma, non sono cifre da poco. Inoltre, sempre grazie ad Expo, l’eredità è anche Mind e quella grande intuizione che è stata Principia (la ex Arexpo).
E le Olimpiadi? Guardiamo a quelle invernali, e precisamente a quelle del 2018 a PyeongChang. L’utile operativo è stato di 55 milioni di euro, l’impatto economico sui territori è stato di 5,3 miliardi di euro. Per Parigi 2024 i dati sono ancora più significativi: oltre 12 miliardi di ricavi totali, un utile netto di circa 27 milioni di euro, circa 10 miliardi di euro di opere e 8 miliardi di benefici economici stimati sul lungo periodo, con oltre 33 miliardi di euro di impatto sul turismo (anche se per alcuni il risultato è stato “modesto”).
Milano deve prepararsi a sopravvivere senza grandi eventi
Polemiche a parte, possiamo tranquillamente dire che i grandi eventi - che infatti si contendono un po’ tutti, nel mondo - sono una magnifica vetrina ma anche la possibilità di dare inizio a fasi virtuose per una città o un territorio. La domanda adesso è come farà Milano a sopravvivere senza grandi eventi, per un periodo mediamente lungo. Conquistato l’Expo, non ce ne sarà un altro per almeno un secolo. Conquistate le Olimpiadi invernali, non ce ne saranno altre (anche se Sala ha confessato lunedì di aver provato a portare le Olimpiadi estive, ma senza successo). Di grandi competizioni calcistiche, prevedendo l’abbattimento del Meazza e la costruzione del nuovo stadio, non se ne parla.
E dunque, Milano come farà? Mi è capitato sotto gli occhi un video di un TedX di giugno. C’è un esperto di comunicazione ed eventi, Luca Monti, che parla di Bookcity e Piano City: “Parliamo di un libro, o di un pianoforte. Moltiplicati per mille location” Dunque non si parla più di grandi eventi infrastrutturali, ma di tanti piccoli eventi che creano di fatto “l’invasione tematica” di una città. E’ qualcosa che funziona, come è funzionato il Lucca-comics in un contesto se vogliamo molto più piccolo, e raccolto, rispetto a Milano. E’ l’unica cosa che rimarrà a Milano per molto tempo.
Per dirla con Greg Richards, dell’università di Tilburg, Milano ha finito per un bel po’ con l’epoca degli eventi “pulsar”, ovvero quelli “capaci di generare un cambiamento forte all’interno di una città e che, per la loro unicità, si differenzia dagli eventi che invece vengono organizzati periodicamente in uno stesso luogo”. E adesso dovrà gestire gli “eventi iterativi”, che servono a “mantenere vivo il tessuto sociale e la vivacità culturale delle città”.
La città come tessuto complesso, non come insieme di eccellenze
Ed è proprio qui la sfida, tutta la sfida: non concepire la città come un insieme di eccellenze (la Scala, il Piccolo, eccetera), ma come un tessuto complesso. Purtroppo, da questo punto di vista, guardando i bilanci delle realtà culturali milanesi, si nota una disparità pazzesca. Per dirla male: la Scala riceve una quantità di fondi incredibile a fronte delle altre realtà musicali che raccolgono le briciole. Lo stesso con il Piccolo e le altre realtà teatrali. Ma questa è un’altra storia.