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Milano

Una vicenda delicata e che presenterebbe ancora dei punti oscuri, quella della morte nel carcere milanese di San Vittore di Alessandro Gallelli, 21enne detenuto all'interno del reparto psichiatrico ritrovato senza vita alle 17.30 del 18 febbraio. L'uomo si sarebbe impiccato annodando la manica della felpa alle inferriate. Ma, riporta Redattore sociale, la famiglia della vittima mette in dubbio che si sia trattato di suicidio. E Alessandra Naldi, garante dei detenuti di Milano, chiede assieme all'associazione Antigone Lombardia di riaprire il caso. Non è chiaro come Alessandro si sia suicidato e perché lo abbia fatto, non si riesce a capire perché si trovava in isolamento. Il Tribunale civile ha valutato solo l'aspetto del risarcimento, i genitori vogliono capire se ci sono responsabilità penali tra le persone delle istituzioni che avrebbero dovuto tutelare Alessandro: magistratura di sorveglianza, procura della Repubblica, il personale del carcere.

"Si deve fare chiarezza -ha spiegato Alessandra Naldi-. Perché vogliamo capire se si sia trattato effettivamente di un suicidio. Non solo. Se è vero che si è suicidato, vogliamo capire se quella cella numero 5 era usata per punire i detenuti più ribelli, tanto che Alessandro non ha retto e si è tolto la vita".

Nei quasi quattro mesi in cui è stato detenuto a San Vittore, Alessandro ha avuto circa 40 visite mediche, di cui una ventina psichiatriche. Alessandro rifiutava qualsiasi terapia. Secondo il perito del Tribunale però ci sarebbe stata "una sottovalutazione della gravità del caso", perché lo psichiatra del carcere "non poteva e non doveva lasciare il paziente in preda al proprio delirio persecutorio nella convinzione che la sorveglianza a vista fosse di per sé sufficiente".

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