Milano
Riforma della giustizia, Scopelliti: "Come diceva Enzo: non contro i magistrati ma per lo Stato di diritto"
Francesca Scopelliti, compagna di Tortora e presidente del Comitato "Cittadini per il Sì": "Una riforma che serve a proteggere la magistratura stessa. Non un voto per il governo, ma per una giustizia giusta". L'intervista

Francesca Scopelliti
Riforma della giustizia, Scopelliti: "Come diceva Enzo: non contro i magistrati ma per lo Stato di diritto"
"Chi vota Sì non vota per il governo: è un voto per una giustizia giusta". Così Francesca Scopelliti, presidente del Comitato “Cittadini per il Sì” ed ex compagna di Enzo Tortora, sintetizza lo spirito con cui sostiene la riforma della giustizia in vista del referendum. Scopelliti da quarant’anni porta avanti una battaglia civile per evitare nuovi casi come quello di Tortora, simbolo delle più gravi distorsioni del sistema giudiziario italiano. "Una piccola riforma? E' un primo passo. E basta ricordare l'esperienza di Enzo per capire l’importanza della separazione delle carriere. Questa è una riforma che serve anche a proteggere la magistratura stessa". L'intervista
Perché la riforma della giustizia pare potersi concretizzare ora, dopo decenni in cui se ne parla?
Me lo sono chiesta con molta gioia e, allo stesso tempo, con timore. Dal caso Tortora e dalla sua morte nessun governo, di qualunque colore, ha mai avuto il coraggio e l’intelligenza di analizzare quella vicenda e trovare rimedi agli abusi della malagiustizia. Oggi finalmente, anche grazie al lavoro degli avvocati penalisti – che raccolsero le firme nel 2017 – c’è un governo che ha avuto il coraggio e la consapevolezza di affrontare il tema. La giustizia italiana versa in gravi condizioni e non può continuare a restare così.
Separazione delle carriere, doppia Corte disciplinare, sorteggio nei Csm: cosa cambierà davvero?
Sento dire che sia una piccola riforma, ma dall’altra parte vedo un grande dispiegamento di forze da parte dei magistrati, che sono i veri oppositori politici di questa proposta. Io credo che sia un primo passo verso una riforma di sistema. Per capire l’importanza della separazione delle carriere basta ricordare l’esperienza di Enzo. In primo grado fu condannato perché il giudice Sansone sposò acriticamente le tesi accusatorie. La sentenza si basava sulla “concordanza” dei racconti di diciotto pentiti raccolti dai pm Di Persia e Di Pietro, senza un vero habeas corpus. Solo in appello il giudice Michele Morello e il presidente Antonio Rocco dimostrarono che quei racconti erano una ripetizione meccanica: il primo pentito diceva una cosa e gli altri la ripetevano identica. E si scoprì ad esempio che Melluso parlava di consegne di droga a Tortora a Milano quando, in quel periodo, era detenuto nel carcere di Ascoli. Se Sansone avesse verificato le accuse, forse tutto sarebbe stato diverso. Lì si vide quello a cui può portare una complicità impropria tra pm e giudice. È la prova della necessità di due carriere separate. Come voleva Giovanni Falcone.
La riforma consentirebbe di superare le correnti?
Avere due Csm scelti tramite sorteggio significherebbe mettere fine al potere delle correnti, di cui si lamentava persino Gratteri. Le correnti rappresentano una vera ferita all’indipendenza della magistratura. E serve una Corte disciplinare che giudichi davvero l’operato dei magistrati. La legge sulla responsabilità civile non ha ridotto gli errori giudiziari: sulla carta c’è, ma paga sempre lo Stato. Se invece ci fosse un giudizio serio, con il rischio reale di rallentare una carriera in caso di errori, forse le inchieste sarebbero condotte con più severità, obiettività e rispetto per la verità.
L'elenco dei casi di malagiustizia è lungo. Non solo Tortora, ma ad esempio anche Lattanzi ed Olivieri, che fanno parte del vostro comitato.
Ogni anno in Italia vengono commessi mille errori giudiziari, comprese le ingiuste detenzioni. È un dato reale che si scontra con le valutazioni del Csm, secondo cui il 98% dei magistrati ha ottenuto un giudizio positivo. Percentuali d’eccellenza che, di fronte a questi numeri, costituiscono un vero ossimoro.
Con il vostro, sono saliti a sei i comitati per il Sì già attivi. Che impressione avete sull’esito del referendum?
Dare la parola ai cittadini è un’occasione per dimostrare la serietà del Paese. Ma è fondamentale che ci sia uguaglianza nell’informazione. In questi giorni, ad esempio, Gratteri è molto spesso invitato in televisione dove ha l'opportunità di sostenere le proprie tesi senza contraddittorio. Di fatto esistono un partito del Sì e un partito del No. Servirebbe dunque una par condicio proprio come per le elezioni politiche. Invece vedo una disparità e un’eccessiva esposizione dei magistrati.
Nel frattempo il referendum è divenuto molto connotato politicamente.
L’opposizione politica tenta di far passare l’idea che questo sia un referendum politico. Ma non è vero. Chi vota Sì non vota per Meloni o per Nordio. È un voto per una giustizia giusta. È la battaglia di Tortora, che non ha mai trovato soddisfazione. Questa può essere la prima occasione. Partiamo da questa riforma, che non è piccola ed è importante. Portiamo a casa questo risultato e poi analizziamo con serenità – e coinvolgendo la stessa magistratura – i passaggi successivi. Enzo lo ripeteva sempre: riformare la giustizia non significa essere contro i magistrati, ma difendere lo Stato di diritto. È una riforma che serve anche a proteggere la magistratura stessa.













