Auto Ue, l'allarme dei costruttori sugli obiettivi 2035 - Affaritaliani.it

Auto e Motori

Ultimo aggiornamento: 14:33

Auto Ue, l'allarme dei costruttori sugli obiettivi 2035

Sigrid de Vries (ACEA) avverte: l'industria conferma l'elettrico, ma senza infrastrutture e flessibilità gli obiettivi UE rischiano di affossare il settore

di Giovanni Alessi

Auto UE: l'allarme dei costruttori sugli obiettivi 2035

Mentre i corridoi di Bruxelles fremono in attesa del prossimo pacchetto automobilistico della Commissione Europea, previsto per il 10 dicembre, una domanda risuona con insistenza tra gli addetti ai lavori e l’opinione pubblica: l’industria dell’auto sta facendo marcia indietro sull’elettrico? La risposta che arriva dai vertici del settore è un "no" secco, privo di ambiguità, ma accompagnato da un "però" grande quanto l'economia del vecchio continente. A farsi portavoce di questo momento critico è Sigrid de Vries, direttore generale dell’Associazione europea dei costruttori di automobili (ACEA), che in un intervento lucido e appassionato ha tracciato la rotta per evitare che la transizione ecologica si trasformi in un disastro industriale. Non si tratta di nostalgia per il motore a scoppio, ma di un bagno di realtà necessario per salvare un comparto che vale milioni di posti di lavoro.

Il divario tra ambizioni politiche e realtà di mercato

Nonostante le voci di corridoio, i numeri parlano chiaro e raccontano di un settore che ha già investito centinaia di miliardi nella trasformazione. Con oltre trecento modelli elettrificati già disponibili e una quota di mercato globale che punta al 40% entro il 2030, l'impegno dei costruttori è tangibile. Tuttavia, la narrazione ottimistica si scontra con un muro di cemento armato fatto di infrastrutture carenti e instabilità economica. Il mercato interno europeo non si è mai veramente ripreso dallo shock pandemico, lasciando sul terreno circa tre milioni di auto invendute ogni anno rispetto ai livelli pre-2019. In questo scenario, gli obiettivi di riduzione della CO2 fissati per il 2030 e il 2035 appaiono oggi come traguardi sfuocati, disconnessi dalla realtà quotidiana di consumatori e imprese. Non è un tentativo di fuga, bensì una richiesta di pragmatismo: il sistema attuale, disallineato e frammentato, sta portando i produttori verso sanzioni inevitabili per cause che esulano dal loro controllo, come la mancanza di colonnine di ricarica o reti energetiche adeguate.

La necessità di un approccio a tre corsie per i veicoli

Uno degli errori più evidenti nell'attuale normativa è la tendenza a fare di tutta l'erba un fascio. Un'utilitaria che gira in centro città non è un furgone che deve consegnare pacchi in tre regioni diverse, né tantomeno un tir che attraversa il continente. La richiesta che emerge con forza è quella di abbandonare l'approccio monolitico per adottare una strategia differenziata, quasi sartoriale. I veicoli commerciali e i furgoni, spina dorsale delle piccole e medie imprese europee, operano secondo logiche di profitto e utilizzo radicalmente diverse dalle auto private. Per loro servono flessibilità maggiori e obiettivi di CO2 ricalibrati, che tengano conto del costo totale di proprietà. Parallelamente, il settore dei trasporti pesanti chiede una revisione urgente del regolamento HDV, per evitare multe salate causate da un ecosistema logistico che non è ancora pronto a supportare una flotta interamente a emissioni zero. Riconoscere queste differenze non significa indebolire la normativa, ma renderla applicabile nel mondo reale.

Neutralità tecnologica e stimoli intelligenti alla domanda

Il cuore della proposta industriale risiede nel superamento dell'ideologia a favore della tecnologia. L'attuale regolamento si concentra quasi ossessivamente sulla fornitura di nuovi veicoli, trascurando se ci sia o meno qualcuno disposto a comprarli o in grado di alimentarli. Per evitare un cortocircuito economico, è essenziale che l'Europa adotti un quadro aperto alla tecnologia, che non escluda a priori soluzioni come i motori ibridi plug-in, i range extender o le celle a combustibile a idrogeno, purché contribuiscano alla decarbonizzazione. Inoltre, si propone di premiare l'intera catena del valore: se un costruttore utilizza acciaio verde o batterie prodotte con energia rinnovabile, questo sforzo dovrebbe essere riconosciuto nel calcolo delle emissioni. Ma la tecnologia da sola non basta se la domanda latita. Serve un piano d'urto sugli incentivi, non intesi come sussidi a pioggia, ma come leve fiscali mirate, soprattutto per le flotte aziendali che possono fungere da volano per l'intero mercato.

Difendere il Made in Europe senza protezionismo cieco

L'industria automobilistica non è solo un produttore di beni, ma un gigante economico che genera oltre il 7,5% del PIL dell'Unione Europea e impiega direttamente 2,5 milioni di persone. Se fosse una nazione, il suo fatturato supererebbe quello dell'intera economia olandese. Tuttavia, il patriottismo industriale non può trasformarsi in una trappola. Le discussioni sui mandati per il contenuto "Made in Europe" devono essere gestite con estrema cautela. Le catene di approvvigionamento sono globali e complesse; imporre vincoli troppo rigidi o troppo rapidi rischia di soffocare la produzione invece di proteggerla. La vera competitività si costruisce garantendo energia a costi accessibili, snellendo la burocrazia per i permessi e investendo nella formazione di lavoratori qualificati. L'Europa deve rimanere un luogo attraente dove investire, non una fortezza isolata da barriere normative che finiscono per penalizzare i propri campioni industriali.

Semplificazione normativa come unica via di salvezza

Forse il punto più critico riguarda l'alluvione legislativa che si sta abbattendo sul settore. Con oltre cento atti normativi previsti per i prossimi cinque anni, i costruttori si trovano a dover navigare in un mare in tempesta, dove ogni nuova regola impatta su design, produzione e investimenti. L'appello alla semplificazione non è un vezzo, ma una necessità di sopravvivenza. L'idea di un "Automotive Omnibus" è accolta con favore, ma serve di più: serve sincronizzare i tempi della politica con i tempi dell'industria. Un esempio lampante è la richiesta di posticipare alcune parti della normativa Euro 7 per i camion, o la necessità di concentrarsi sulla produzione di veicoli piccoli e convenienti, segmento dove la semplificazione burocratica avrebbe l'impatto sociale più elevato. La posta in gioco è altissima: la mobilità rimane una fonte chiave di libertà e prosperità, e perdere la leadership in questo settore significherebbe infliggere una ferita profonda all'economia del continente. Il prossimo pacchetto della Commissione sarà il momento della verità: o si corregge la rotta, o si rischia lo schianto.