L’aumento dell’insoddisfazione e della rabbia dei ristoratori, degli ambulanti e di altre categorie contro i fondi, stanziati dall’esecutivo, ritenuti insufficienti, rischia di mettere in difficoltà la Lega. Partito di lotta o di governo? Mentre Giorgia Meloni, in ascesa, è all’opposizione, Matteo Salvini sostiene di appoggiare l’esecutivo Draghi anche per far recepire le istanze di coloro, che portano in piazza istanze, e drammi, reali, senza ricorrere alla violenza.
Una posizione molto delicata, quella del Carroccio, che può essere accostata a quella del PSI, “partito di lotta e di governo”, alla fine degli anni 60 e all’inizio dei 70. Giacomo Mancini (oggi ricorre l’anniversario della sua scomparsa) e Francesco De Martino dichiararono, nel luglio del 1969, la fine dell’unificazione PSI-PSDI, costituendo la nuova maggioranza, che elesse segretario il professore napoletano e vice segretario Mancini. I due leader e Riccardo Lombardi volevano evitare che il partito, nell’”autunno caldo”, si distaccasse dalle lotte degli operai e dalle contestazioni degli studenti.
E il PSI, seppure al governo con la DC, non rinunciò neppure alle battaglie pro-diritti civili. Nel 1970 Mancini-divenuto segretario mentre De Martino assunse l’incarico di vicepresidente del Consiglio-intervenne, alla Camera, a favore della legge sul divorzio, firmata dal socialista Loris Fortuna e avversata dalla DC. E spiegò a Forlani, allora segretario della “balena bianca”-come Giampaolone Pansa definì, sul “Corriere della Sera”, il partito di Fanfani-che i socialisti non avrebbero, mai, archiviato l’impegno per fare dell’Italia un Paese più civile e moderno.
Oggi spetta a Salvini, senza ricorrere a penultimatum, convincere Draghi, dopo i flop di Giuseppi Conte, a governare, con maggiore efficacia, ascoltando i disperati, isolando i violenti ed evitando che la frattura tra il Palazzo e il Paese reale, in primis il Sud, diventi profonda e insanabile.
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