Addio al Divo Giulio, cardinale della politica. Di Antonino D'Anna
di Antonino D'Anna

Amico dei Papi, sette volte presidente del Consiglio, 21 ministro, 6 sottosegretario alla presidenza del Consiglio, gran cardinale della politica italiana. Ma anche accusato di mafia e di un bacio con Totò Riina, duro nella linea della fermezza contro la trattativa per la liberazione di Aldo Moro (il quale gli profetizzò che sarebbe passato “alla triste cronaca, che le si addice”), Giulio Andreotti è morto.
LO “ZIO GIULIO” E IL POTERE- L'uomo che gli studenti negli anni '90 contestavano come “Belzebù”, i mafiosi chiamavano come “zù Giulio”, quello che per tanti è stato “il Gobbo” (gobbo non era e sfiorava invece il metro e ottanta), campione di romanità e cattolicità (oltre che di battute, tra cui “il potere logora chi non ce l'ha”), adesso è passato al bianco e nero della storia. Se di Enrico Berlinguer Giancarlo Paietta diceva che si era iscritto giovanissimo alla segreteria del PCI, Andreotti si è iscritto giovanissimo al potere. Alcide De Gasperi, che lo apostrofò con un “Ma lei non ha niente di meglio da fare?” al primo incontro (il divo Giulio gli stava chiedendo alcuni volumi sulla flotta pontifica, al tempo De Gasperi si era rifugiato in Vaticano e faceva il bibliotecario), era solito dire di lui che “Il ragazzo è capace a tutto. E di tutto”, mentre Indro Montanelli sottolineava che il buon Alcide parlava a Dio, Giulio più modestamente al prete “E a me il prete rispondeva”, chiosava Andreotti. Rispondeva anche lui, a chi gli scriveva. A volte anche in maniera controversa, come quando rispose ad una piccola terremotata del Belice spedendole una cortese lettera e una bambola.
LA CURIA E I PIZZINI- Perché Andreotti ha saputo restare così a lungo in sella? La risposta – ci sembra – è nella sua storia. Ha imparato a muoversi in maniera felpata al punto giusto tra le stanze della Curia, dove è sempre stato di casa sin da quando era nella FUCI, la federazione degli universitari cattolici italiani che aveva al tempo come assistente spirituale tale Giovanbattista Montini, il futuro Paolo VI. Fu allora che venne introdotto al cospetto di Pio XII, il “principe di Dio” che ebbe modo di apprezzarne le qualità. Fino al punto di ricevere, proprio da Andreotti, quelli che allora non si chiamavano ancora pizzini. Fu il senatore a vita a ricordarlo, una decina di anni fa: in qualche occasione, in udienza dal Papa, ebbe modo di passargli qualche bigliettino chiedendogli di intervenire su un determinato argomento che gli stava a cuore. Certo, non sempre il Papa accondiscendeva alle sue richieste, ma quando questo accadeva Pio XII al termine dell'udienza in cui aveva affrontato l'argomento segnalato dal "pizzino" del giovane Giulio, gli si rivolgeva chiedendo: “Sei contento?”.
IL BICCHIERE A CRAXI- Saper chiedere, saper aspettare, non dimenticare, muoversi al momento opportuno e senza tornare indietro. Andreotti ha imparato bene dalla Curia, che quando abbassa lo sguardo si fa più vigile e quando non ti guarda sta proprio pensando a te. Un passo, un senso quasi di eternità e levigata assolutezza che punteggiava anche il suo modo di parlare, di scrive. Con una differenza: il Divo sapeva infilare battute fulminanti che poi esplodevano all'improvviso sul grigiore più o meno tenue della pagina. E il senso del gesto: tutti ricordano il famoso bicchiere d'acqua che Andreotti passò a Bettino Craxi nel 1985, quando il Parlamento discuteva della crisi di Sigonella. Fu quel gesto a convincere i presenti che il governo ce l'avrebbe fatta a superare lo scoglio dello scontro tra Craxi e Ronald Reagan su Abu Abbas e i dirottatori dell'Achille Lauro.
GLI INTRIGHI- E come ogni curiale, anche Giulio è stato indicato o accusato di intrighi, lui che peraltro era riuscito a superare la tempesta di Mani Pulite e che nel 1992 era ad un passo dal Quirinale in corsa con Arnaldo Forlani (e chissà come sarebbe stato il Quirinale di Andreotti). Accusato dell'omicidio di Mino Pecorelli e assolto, poi di aver avuto rapporti con Cosa Nostra (una sentenza che lo assolse e in parte prescrisse quanto accertato fino al 1980), Andreotti commentava ridacchiando: “Guerre puniche a parte, mi hanno accusato di tutto quello che è successo in Italia”.
L'OMBRA DI MORO- Ma forse il buco nero, più nero dell'esistenza di Giulio Andreotti e che lo ha probabilmente tormentato per il resto della sua vita è stata la morte di Aldo Moro. Il senatore a vita è stato accusato – anche dallo stesso Moro prigioniero delle BR – di non aver mai avuto un momento di cedimento per la trattativa. Lui ebbe modo di dire una frase a Francesco Cossiga: soffro il doppio perché la gente non crede che io soffra per Moro (si dice che il Divo sia poi intervenuto ad aiutare – anche economicamente – i parenti delle vittime di Via Fani). Quei 55 giorni sono stati i giorni più duri vissuti da Andreotti, forse più duri di quelli passati nelle aule di tribunale a fine anni '90 per rispondere della accuse che gli rivolsero i pentiti di mafia e Tommaso Buscetta.
Ora il Divo è morto: lui che ha riso di Wikipedia quando lo diede passato a miglior vita l'anno scorso, aveva promesso di portare con sé qualche segreto: lo ha fatto malgrado il suo sterminato archivio e i diari minuziosamente compilati ogni sera secondo un proprio codice personale. Adesso, senza di lui, sono pagine mute.