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Politica
Amministrative: la debacle del Pd a trazione catto-comunista

Comunque si vogliano leggere i risultati delle amministrative, evidenziano chiaramamente due dati: la clamorosa debacle del Pd con il variegato schieramento di centro-sinistra e la crescita del non voto, non più fisiologica o legata alla tipologia delle elezioni: i voti validi riportati dai candidati sindaci ai ballottaggi sono stati 940.244, pari al 43,27%, ossia 15 punti in meno rispetto al 58,9% dei voti validi   assegnati al primo turno.

I due eventi si sono verificati in un contesto culturale, politico e sociale segnato, per un verso, dall'inoppugnabile fallimento storico del comunismo e dall'assenza di di una proposta di società che minimamente si possa accostare alla sinistra, quella conosciuta nel '900 e per l'altro, da una pericolosa, minacciosa, deriva populista, non solo in Italia, di matrice nichilista, se non heideggeriana. 

Il crollo delle Stalingrado rosse, da Genova a La Spezia soprattutto, da Sesto San Giovanni a Pistoia, tutte, più o meno, governate sin dal 1946 ininterrottamente dal vecchio Pci, ereditate dal Pd e derivati, è soltanto l'ultima delle disfatte dopo le Regionali del Veneto, le comunali di Torino e Roma, Perugia e Venezia e il tracollo al referendum del 4 dicembre scorso.  

Un quadro, nel suo insieme, drammatico di fronte al quale ha poco senso la disputa, limacciosa e personalistica, se la responsabilità è da ascrivere, in toto o parzialmente, a Matteo Renzi oppure se la strada da battere è un nuovo centro-sinistra allargato oppure se è inevitabile un accordo con il centro-destra moderato.

La responsabilità politica ovviamente di una siffatta debacle va ricercata nel disastroso processo costituente del Pd, nella frettolosa e deleteria fusione a freddo tra Ds e Margherita, da cui venne fuori l'indefinito Pd proteso a conquistare il suo spazio politico nella terza via neo-liberista di Tony Blair e Billy Clinton. Un Pd senza identità, cultura, progettualità, si rivelò subito un amalgama mal riuscito.

Renzi è figlio di questo Pd come lo sono i suoi seguaci: non sono marziani scesi da Marte, ignoti e sconosciuti a quanti, a suo tempo, hanno dato vita, gli ex-comunisti, al Pd a vocazione maggioritaria per espungere ogni riferimento al socialismo, tanto delle origini che  europeo: si scelse il Pd a trazione catto-comunista coprendo in tal modo il fallimento storico del comunismo, non più negabile dopo il fragoroso crollo del Muro di Berlino e la protesta di Piazza Tienanmmen nel 1989, l'annus horribilis.

Si evitò accuratamente dalla Bolognina in poi di fare i conti con i due straordinari, storici eventi e di trarre le dovute conseguenze da essi: lo stesso fecero quanti non condividendo il cambio del nome, da Pci a Pds, scelsero, comunque, di mantenere il riferimento al comunismo. Cammin facendo per due volte i fratelli coltelli si ritrovarono insieme per dar vita ai due tutt'altro che longevi governi di centro-sinistra guidati da Romano Prodi: entrambi finirono molto prima del tempo sotto il fuoco amico.

Ormai forse il sogno di poter vedere anche in Italia spuntare un Jeremy Corbin o un Bernie Sanders è più una fantasticheria che una ipotesi reale: è inverosimile un'aspettativa simile, secondo lo storico Giorgio Galli. Perchè? Semplice: Corbyn e Sanders, due signori avanti con gli anni, hanno avuto il coraggio di puntare sul socialismo d'antan e sui suoi valori - uguaglianza, libertà, giustizia sociale - ancora validi, Renzi ha invece una cultura liberale ma non socialista.

Nè in Italia c'è qualcuno che somigli al leader del Labour Party o si riferisce al socialismo democratico di Sanders: al più sull'onda di una crescente delusione e disaffezione della gente per la politica, c'è chi si rifà a una prassi già vista e già miseramente fallita, quella del '68, della rivolta contro l'autorità, contro ogni forma di potere, persino contro il sapere e la conoscenza, per essere tutti uguali ma nell'ignoranza, con il fine urlato di ridare voce, dignità e felicità al popolo scontento, inquieto e stanco. 

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amministrativepd





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