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Politica
"Cartabia carta di riserva del Colle. Se cade Conte niente voto"

Incassato il primo via libera alla Camera sulla risoluzione di maggioranza (nel secondo ramo del Parlamento si replica nel pomeriggio) che dà mandato al premier Giuseppe Conte di trattare sulla riforma del Mes al Consiglio europeo, il vero scoglio per il governo rimane la cabina di regia sul Recovery plan. Una partita difficile per l’esecutivo, con i renziani che si sono messi di traverso. Il gioco insomma si fa serio, visto che le ministre di Italia viva si sono dette pronte alle dimissioni. E’ solo strategia o davvero la crisi è dietro l’angolo? Ma soprattutto se crisi sarà si aprirà proprio adesso, con il Recovery ancora da instradare o è rimandata a gennaio, una volta messa al sicuro anche la legge di Bilancio? Affaritaliani.it ne ha parlato con il politologo Alessandro Campi. La sua analisi parte da questa premessa: “Con l'attuale governo la crisi sulla carta è sempre dietro l’angolo, poi non lo è nella sostanza, ma perché la situazione è ancora delicata a causa della pandemia”. Di una cosa, tuttavia, Campi è certo: “La partita sul Recovery fund e sulle modalità di gestione sta diventando molto delicata non solo per il governo, ma per gli equilibri istituzionali dell’intero Paese. Ecco perché ritengo che su questo ci siano buone ragioni per arrivare a una crisi”. Che non significa, secondo l’esperto, elezioni anticipate, “ma un nuovo governo sì”. Alla guida del quale Campi immagina una donna: “Marta Cartabia. E’ lei la carta di riserva che ha Mattarella”.

Campi, andiamo con ordine. Lei sostiene che con l’esecutivo Conte due la crisi sia sempre dietro l’angolo, ma anche che sulla cabina di regia per il Recovery stavolta potrebbe aprirsi davvero. E’ così?
C’è una debolezza intrinseca in questo governo legata alla sua particolare maggioranza e alla scarsa coesione che esiste tra i partiti che lo sostengono. Tutto ciò, paradossalmente, non incide sulla stabilità dell’esecutivo, che è al tempo stesso molto debole ma per mancanza di alternative anche molto forte. Detto questo, però, la partita sul Recovery rischia di creare un vero e proprio cortocircuito istituzionale. Si tratta di un problema serio, da non sottovalutare.

Si spieghi.
La proposta di Conte ha un obiettivo evidente e cioè quello di centralizzare su palazzo Chigi tutti i poteri decisionali, anche la politica economica nazionale. E non si tratta solo dei 209 miliardi. Ci sono, infatti, pure i 50 miliardi dei fondi europei destinati allo sviluppo delle aree depresse. Insomma, siamo di fronte a un progetto di accentramento che prefigura la nascita di un governo nel governo, di una vera e propria struttura parallela che non è un problema della maggioranza o di Matteo Renzi, ma del Paese intero. E non finisce qui.

Cos’altro c’è?
L’utilizzo dello strumento del dpcm, il cui impiego fino a ora, in un’ottica emergenziale, è stato giustificato per velocizzare le misure di contrasto alla pandemia. Adesso, invece, il rischio è che tale logica sia protratta e istituzionalizzata. E’ chiaro che su questa strada si corre il pericolo di stravolgere i meccanismi di governo istituzionale dell’economia del Paese. Una questione che, secondo me, dovrebbe riguardare anche il Capo dello Stato. Ecco perché ritengo che forse sia il caso di dire basta. Il rischio di un cortocircuito istituzionale è dietro l’angolo. Non solo, ma occorrerebbe riflettere pure su quanto effettivamente poi un percorso simile sia funzionale davvero all’obiettivo di impiegare bene le risorse.

Chiediamocelo.
Il mio timore è che si crei solo una sovrapposizione tra la nuova struttura e quella vecchia, di cui fanno parte ministeri, Cipe e i vari livelli istituzionali, e che anziché velocizzare i processi finisca col creare una paralisi. Oltre a dar luogo a infiniti contenziosi politici e istituzionali. Ma questo è solo il primo problema.

Ce n’è un secondo?
Sì. Con una struttura così concepita, oltre ad essere bypassato il Parlamento, salterebbero tutte le buone intenzioni di queste settimane sull’unità, sul dialogo e sul coinvolgimento delle opposizioni nella condivisione dei progetti.  

I renziani, quindi, fanno bene a sbattere i pugni sul tavolo e a minacciare la crisi?
Ci sono buone ragioni per arrivare alla crisi. Non comprendo perché, invece il Pd faccia finta di niente. Forse si accontenta di avere Gualtieri nel "board" insieme a Patuanelli e Conte.

Ma crede che davvero Italia viva passerà dalle parole ai fatti o è più plausibile pensare, come da più parti hanno confermato al nostro giornale, che alla fine si riesca a trovare un accordo e ad allontanare lo spettro di una crisi, magari al nuovo anno?
Può anche darsi che sia così. Io resto dell’avviso che se rimane in piedi l’attuale proposta sulla gestione del Recovery non ci siano grandi margini. A meno che quella che viene presentata dai renziani come una questione di principio sia in realtà solo un problema di poltrone. Lasciando da parte il ruolo che potrà giocare il Capo dello Stato in questa partita non appena si accorgerà che un meccanismo così concepito non può funzionare, le possibilità di un accordo sono davvero ridotte.

Insomma, la palla è solo in mano a Renzi?
Sulla carta, sì. Bisogna vedere se ciò a cui punta Italia viva è solo avere uno dei suoi accanto a Conte, Patuanelli e Gualtieri. Non so se si accontenterà che il “triangolo” diventi un “quadrilatero”. Quello che so è che una super struttura politico-amministrativa così concepita è un grosso problema, sarebbe pericolosa in prospettiva. Renzi può avere ragione, anche se spesso non è credibile, quando parla del contrasto alla logica dei pieni poteri. Per il resto, il Pd è silente, ma ad essere più scandaloso è un altro silenzio.

Quale?
Quello dei costituzionalisti italiani che si è sono mobilitati in passato per molto meno e, adesso, di fronte all’ipotesi di questa struttura, con procedure in deroga a tutto, non sollevano né dubbi e né riserve. Eppure, parliamo di progetti, tutt’altro che ascrivibili a una logica emergenziale, da definire in maniera strategica, alla luce di una visione complessiva del Paese.

Certo è che se si aprisse una crisi, non sono da escludere le urne, come il Quirinale ha fatto intendere. Lei cosa ne pensa?
Il governo può decidere di tornare sui suoi passi e avviare un percorso diverso, trasparente. Occorrerebbe inoltre un accordo strategico con le opposizioni. Anche perché i numeri della maggioranza sono quelli che sono e, quindi, l’incidente può sempre crearsi. L’esecutivo, infatti, può sfangarla tre, quattro, cinque volte, ma non in eterno. Dopodiché, è chiaro che la convenienza di andare al voto non c’è per nessuno. Ed è un lusso che il Paese non può proprio permettersi in questo momento.

E, allora, come se esce?
O un cambio di passo del governo o un nuovo esecutivo. Tertium non datur.

Con Mario Draghi al timone?
Marta Cartabia è la carta di riserva vera che ha Mattarella, secondo me.  Non avendo mai creduto all’ipotesi Draghi, penso che questa possa essere l’exit strategy. Parliamo di una donna, presidente emerito della Corte Costituzionale, cattolica, vicina Comunione e liberazione. Sa quanti pezzi di centrodestra si porterebbe dietro?

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