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Politica
Caso Mes, Meloni dal Giurì d'Onore: "Non mentii. Conte imbarazzò l'Italia"

Caso Mes, Giorgia Meloni interrogata dal Giurì d'Onore. Mulè: "Chiamati a giudicare la veridicità delle frasi della premier"

Dopo Giuseppe Conte, ora Giorgia Meloni. È durata un'ora l'audizione della presidente del Consiglio davanti al Giurì d'onore della Camera chiamato dal presidente del M5s a giudicare la veridicità delle affermazioni della premier sul Mes, lo scorso 13 dicembre in Parlamento.

Giorgio Mulè, che presiede l’organismo chiamato a giudicare la fondatezza delle frasi pronunciate, ha così dichiarato: "Entrambi hanno detto la loro posizione, i commissari non hanno sollevato esigenze di nuove audizioni. Il prossimo passaggio è quello di studiare e approfondire, mettere a confronto le dichiarazioni dei presidenti Conte e Meloni, formarsi una idea sugli atti parlamentari, su tutto ciò che è a disposizione della commissione, e successivamente redigere la relazione da presentare entro il 9 febbraio – fa sapere Giorgio Mulè – Secondo l'articolo 58 la relazione non è soggetta nè a discussione nè a votazione. La relazione poi verrà letta in Aula e l'Aula ne prende atto".

Il Giurì riferirà entro il 9 febbraio. E ancora. "L'epilogo? 1 X 2 - scherza il vice presidente della Camera – non è una sentenza. Il giurì è chiamato dichiarare la fondatezza da alcune espressioni che sono state utilizzate dalla presidente Meloni, che il presidente Conte ritiene essere false e non veritiere: quello è il compito del giurì. Giudica la fondatezza di quello che è stato detto in Aula. Adesso vediamo se è fondato o no". E quindi se il trattato Mes sia "stato firmato con il favore delle tenebre"? "È uno degli elementi che la presidente del Consiglio ha usato in Aula in un discorso più ampio che riguardava il Mes – risponde Mulè – L'oggetto della commissione è verificare quello".

Caso Mes, Giorgia Meloni interrogata dal Giurì d'Onore si presenta senza carte. "Non mentii, Conte imbarazzò l'Italia"

Giorgia Meloni avrebbe risposto presentandosi a mani nude, senza cartellina, memoria scritta o appunti di sorta. Fonti parlamentari sostengono infatti che, davanti al Giurì d'onore, la presidente del Consiglio avrebbe ribadito per filo e per segno quanto sostenuto in Aula, alla vigilia di quel Consiglio europeo che -il 13 dicembre scorso- la portò a puntare il dito contro l'ex premier Conte, accusandolo di aver bluffato sul Mes. "Non aveva bisogno di portare con sé scartoffie - dice un fedelissimo - perché la sua ricostruzione è incontrovertibile. Una ricostruzione dei fatti talmente lineare da non necessitare di alcuna documentazione aggiuntiva a supporto".

La 'difesa' di Meloni si sarebbe articolata, stando alle stesse fonti parlamentari, su tre direttive. Innanzitutto l'assunto che non ci sarebbe mai stata una maggioranza in Parlamento a favore della firma della riforma del Mes e, di conseguenza - il ragionamento della presidente del Consiglio - non si può sostenere che ci fosse un chiaro mandato parlamentare alla sua sottoscrizione. La risoluzione richiamata da Conte e datata 9 dicembre 2020 - avrebbe rimarcato Meloni davanti alla commissione chiamata a pronunciarsi sulla veridicità della sua 'arringa' in Aula- era a detta della premier generica e fumosa e lo stesso leader M5s, negli interventi parlamentari in piena crisi di governo, avrebbe specificato che non c'era una maggioranza a favore del Mes. La premier avrebbe poi 'difeso' anche la decisione di sbandierare in Aula al Senato un documento firmato dall'allora ministro degli Esteri Luigi Di Maio e contenente l'indicazione alla Rappresentanza permanente d'ltalia presso l'Unione Europea di firmare la riforma del Mes: "Risale al 20 gennaio 2021, data successiva all'apertura della crisi di governo avviata il 13 gennaio 2021 con le dimissioni dei rappresentanti di Italia Viva dalla compagine di governo", avrebbe rimarcato la presidente del Consiglio snocciolando le date davanti ai 'giurati', riportano le stesse fonti beninformate.

Meloni avrebbe poi richiamato le 'date di scadenza', ricordando che il Conte 2 si è dimesso il 26 gennaio 2021. E chiamando in causa nella sua ricostruzione dei fatti, raccontano le stesse fonti, l'allora Rappresentante permanente d'Italia presso l'Unione Europea, l’ambasciatore Massari, che all'indomani del passo indietro dell'esecutivo -il 27 gennaio- con il governo dimissionario e in carica solo per gli affari correnti, avrebbe seguito le istruzioni ricevute il 20 gennaio, apponendo la firma all'accordo che riformava il trattato istitutivo del Mes. Il tutto, avrebbe sentenziato nuovamente la premier davanti all'organismo parlamentare guidato da Mulé, "senza una maggioranza parlamentare a favore del Meccanismo europeo di stabilità".

Meloni, raccontano inoltre diversi esponenti di Fdi, avrebbe mosso a Conte le stesse accuse rivolte in Aula, ribadendo al presidente Mulé e agli altri 'giurati' che i passaggi che avevano accompagnato il disco verde del Parlamento al 'restyling' del Mes avrebbero messo in imbarazzo l'ltalia, in quanto sarebbe stato firmato un accordo internazionale sul quale, "non c'era all'epoca e non c’è attualmente, una maggioranza parlamentare favorevole".

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