Con Landini una nuova Cgil “giallo-rossa”? - Affaritaliani.it

Politica

Con Landini una nuova Cgil “giallo-rossa”?

Massimo Falcioni


Ecco Landini, capo di quella che fu la “Grande Cgil”. Così la confederazione di Corso d’Italia forte di 5 milioni di iscritti (metà pensionati) ha il suo nuovo segretario generale frutto di un patto interno dell’ultima ora che appiana divergenze ma non scioglie i nodi politici su identità, ruolo, progetto. Per anni, la Cgil è stata tenuta a “bagnomaria”, gigante dai piedi d’argilla, travolta dalla crisi economica, dallo tsunami della globalizzazione, dai governi che hanno tolto al sindacato, oltre al ruolo di rappresentanza dei lavoratori, persino la dignità. A farne le spese sono stati i lavoratori, falcidiati nel loro potere d’acquisto e nel welfare, con il sindacato ridotto tutt’al più ad agenzia di servizi e a baluardo pro immigrati.Ma tutto il Paese ha pagato la china sfociata nell’anti politica con il sindacato messo nell’angolo, considerato “elite” tale e quale i partiti. La Cgil si è chiusa in se stessa, limitandosi a contare tessere, a incassare contributi, a marciare di rado in piazza, non sapendo quale rotta seguire e in quale sponda approdare.

Questa è stata la segreteria della Camusso dall’aria arcigna portando quasi ovunque al timone gruppi dirigenti divisi per genere e per cordate. Questo è stato il campo d’azione dove Landini con la sua Fiom ha potuto giocare duro, da “libero”, incassando qualche risultato e tante sconfitte, come quella travolgente della Fiat. Non sarà facile per la Cgil recuperare quella “centralità politica” dei tempi andati, fino alle epoche gloriose ma non senza macchie di Di Vittorio, Lama, Trentin. Forse Landini avrebbe dovuto far proprio il monito del suo lontano predecessore Giuseppe Di Vittorio: “Pensarci sempre su, prima di emettere giudizi” così da evitare l’incidente – un vero e proprio passo falso – di una Cgil che al congresso di ieri approva all’unanimità una “mozione urgente” sulla crisi venezuelana – di fatto - pro-Maduro rinverdendo e rinfocolando le pulsioni terzomondiste e anti-Usa delle componenti più radicali del maggiore sindacato italiano presenti soprattutto proprio in quella Fiom da cui proviene Landini.

Dato il peso politico della questione, interpretare la mozione una “svista” non depone a favore della qualità del (nuovo) gruppo dirigente e la successiva parziale rettifica pare proprio la classica toppa peggio del buco. Non sono mancati strascichi, a cominciare dal Partito democratico che sul suo sito ufficiale “Democratica” stronca la posizione della confederazione di (ex)riferimento: “Sul Venezuela la nuova Cgil comincia male” definendo Maduro un “despota e affamatore di popolo”. Ufficialmente quella “mozione urgente” è stata approvata dai delegati al congresso Cgil quando ancora Landini non aveva i galloni del “capo”. Ma il fattaccio resta e incide negativamente sulla partenza del nuovo leader, già bollato quale “radicale” e “populista”, il Salvini sindacale.

Più che “ribelle”, il nuovo leader della Cgil Maurizio Landini è, almeno nell’immaginario collettivo e al di là dei tratti paciosi del volto e di una bonomia e generosità personale tutta emiliana, un sindacalista ringhioso. Una maschera cucita addosso mediaticamente quando nel 2010 l’allora capo delle tute blu della Fiom disse NO a muso duro al piano Marchionne mostrando i muscoli ma dividendosi da Cisl e Uil e uscendone a pezzi con la Fiat globalizzata ma spolpata in Italia, da oltre 120 mila dipendenti a meno di 30 mila, con Mirafiori e Pomigliano da luoghi d’eccellenza mondiale a dependance Fca. Landini è uomo del suo tempo, non ha né il marchio ideologico-politico e né la caratura del romagnolo Luciano Lamail quale ricordava ai ricorrenti massimalismi e settarismi interni che la prima regola del sindacalista era smpre la stessa “ Chi tratta, vince”. Landini si è forgiato a Bologna all’ombra del capo della Fiom Claudio Sabattini, un comunista iper ingraiano, dedito a coltivare la missione di una Cgil pansindacalista perno di un movimento di lotta contro il “padrone” e contro il capitalismo e l’imperialismo mondiale. In quel richiamo del neo segretario Landini all’unità della Cgil (e di tutto il sindacato) “aperta e ampia” c’è lo strappo dell’ultimo filo che legava la confederazione “rossa” ai partiti di sinistra (dal Pci in su), attenta al nuovo, pronta a dare il benvenuto ai tanti lavoratori di matrice grillina e anche leghista lasciando alle frange a sinistra del Pd il ruolo di “guardia imperiale”. Questa Cgil e questo Pd non si prendono. Peggio ancora Landini con Renzi. La Cgil, dunque da “cinghia di trasmissione” del Pci a sindacato “giallo-rosso”? Con la sconfitta di Colla – l’ex candidato chiamato dal compromesso interno a un ruolo da soprammobile di vice segretario – Il Partito democratico esce di scena anche dal “suo” sindacato, aggrappato fin che può all’ultimo dei pensionati iscritti. Per Landini è una sfida difficile. Il ragazzone 57enne ex saldatore è un lottatore capace di adeguarsi e cambiare, se serve, musica e suonatori. La prova del budino è già qui. Guai ripetere il primo passo fatto sulla questione-Venezuela.