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Politica
Voto, successo del Pd forse illusorio col crollo del M5s che falsa i risultati

Appena chiuse le urne (siamo al pomeriggio di lunedì) tre cose sembrano sicure:

1 Il Pd ha avuto un ottimo risultato, soprattutto pensando al recente passato.

2 Il Movimento 5 Stelle è crollato.

3 Il centrodestra non ha avuto successo.

Il successo del Pd è notevole ma mi chiedo quanto illusorio. Infatti non possiamo dimenticare che, per decenni, esso è stato il punto di riferimento di tutta la sinistra, e tuttavia alle politiche del 2018 ha ottenuto un triste 18%. La cosa non è stupefacente se pensiamo che in quell’occasione è stato letteralmente “vampirizzato” dal Movimento 5 Stelle che ha avuto una percentuale del 32% e spiccioli. Ma se oggi il Pd avesse ricuperato la metà dei voti del M5S nel 2018, cioè il 16%, sommando questa cifra al suo 18% di allora, dovrebbe avere il 34% delle intenzioni di voto. E non pare proprio che l’abbia. Inoltre a queste amministrative spesso la sfida si riduce ad un duello, e in questi casi molti votano piuttosto contro qualcuno che a favore dell’altro. Insomma, i progressi del Pd devono essere confermati. Anche perché la quasi sparizione del Movimento falsa un po’ tutti i risultati, incluso quello dell’astensionismo.

Venendo al Movimento, certo ci si si aspettava che fosse ridimensionato, ma molti non credevano che il calo sarebbe stato così netto. E tuttavia non c’è da stupirsene. Infatti io stesso non solo lo speravo, ma un po’ ci contavo. Non per odio ai “grillini”, quanto in odio all’odio per la politica che essi hanno così entusiasticamente cavalcato. In questo senso, questo ripensamento dell’elettorato è consolante.

La ragione tecnica di questo ridimensionamento non è incomprensibile. I partiti vivono di un programma. Sappiamo tutti che questo programma nella stragrande maggioranza dei casi non è realizzato ma almeno serve ad identificare chi lo ha formulato. E gli permette di sopravvivere anche se è applicato al 20, al 15, al 10%. Gli elettori sanno quanto valgono le promesse elettorali. Ma se il programma è totalmente smentito, gli elettori sono severi. Nel nostro caso è come se, prima ancora che si andasse alle urne, il partito fosse sparito dall’orizzonte politico. I Cinque Stelle hanno contraddetto tutto ciò che avevano predicato, hanno fatto tutto ciò che avevano promesso di non fare, si sono rivelati – loro che non volevano nemmeno essere un partito – un partito inconcludente. Il fatto che il Pd abbia avuto un buon risultato quando si è alleato col Movimento sta ad indicare che i “grillini”, quando si sentivano associati al Pd, consideravano ancora il loro un voto “utile”, quando si presentavano da soli consideravano il loro voto “inutile”. E sprecato.

Dunque il Pd può essere contento di non avere accanto un concorrente pericoloso, ed anzi pericolosissimo, se pensiamo al 2018. Ma non può pensare di avere allargato la propria base elettorale. Il suo “successo” è dovuto al fatto che, oggi come in passato, a parte il Pd, a sinistra di credibile c’è ben poco. E poiché almeno metà del Paese è di sinistra, o per vocazione o in mancanza di meglio, il Pd potrà sempre contare su una buona percentuale di voti.

Molti forse diranno che il buon risultato del Pd sarà anche dovuto alla buona guida di Enrico Letta ma personalmente ne dubito. Letta ha scelto di essere “di sinistra-sinistra”, anche nel senso più idealistico e massimalista, mentre il Paese tende ad essere moderato. Lo si vede nel consenso a Mario Draghi, lo si vede nello scarso successo di Leu, lo si vede perfino nella partecipazione del Pd al governo di un banchiere con idee liberiste, seppure ampiamente keynesiane. E comunque Draghi è pragmatico mentre la sinistra profonda ha sempre avuto orrore del pragmatismo. Perché esso è il massimo nemico dell’idealismo, cioè del sogno.

E andiamo all’insuccesso del centrodestra, anche se dobbiamo aspettare i ballottaggi per un risultato veramente significativo. Il centrodestra ha mancato di stile ed ha mancato di unità. Nel momento in cui il Paese ha una grande stima di un Presidente del Consiglio – e se è per questo anche di un Presidente della Repubblica – caratterizzati dal silenzio, dalla misura, dalla discrezione, Salvini ha voluto continuare a giocare a Giamburrasca, col risultato di rendersi poco credibile, dal momento che in fin dei conti, checché avesse detto prima, poi ha dovuto inchinarsi a Draghi. Perché ripetere errori del tipo di quello di Letta, quando parla di ius soli o di salario minimo? Inutile caratterizzarsi “di sinistra” o “di destra”, mentre di fatto si è dei portatori d’acqua di Draghi.

Inoltre i tre partiti di centrodestra hanno sbagliato nel non riuscire ad arruolare candidati ben noti e di grande appeal. E a farlo per tempo. Anche se, probabilmente, molti dei migliori candidabili si sono sottratti alla responsabilità di essere sindaci, cioè teste di turco della cittadinanza ed anche della magistratura.

Sbagliato è poi stato, in questo tempo, mantenere la frattura con Fd’I, partito all’opposizione e in forte crescita. Meglio sarebbe stato, in tutto questo periodo, non discutere mai e far finta di essere d’accordo su tutto. Per litigare c’è sempre tempo. Infine male hanno fatto tanto Salvini quanto la Meloni a non approfittare della presenza di Silvio Berlusconi che, meno smanioso di loro di un successo (ne ha avuti già tanti, nella vita) poteva rappresentare la facciata moderata, governativa e degna di governare, di cui il centrodestra aveva bisogno. Avrebbero dovuto, magari soltanto in questa occasione e fingendo, presentarsi come i suoi sostenitori, piuttosto che come i suoi concorrenti. Ma forse mi sbaglio.

Ovviamente, tutti coloro che non saranno contenti dei risultati diranno – come sempre – che queste sono soltanto consultazioni amministrative. Ma mi chiedo se potranno dirlo i Cinque Stelle. Ed è questo che conta veramente, nell’ottobre del 2021.

 

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