Esposito inadatto a giudicare Berlusconi
Il giudice Antonio Esposito, a capo del collegio feriale della Cassazione, che ha emesso la sentenza Mediaset, ha rilasciato un'intervista a "Il Mattino", in cui ha spiegato le ragioni della condanna di Berlusconi. Intervista poi smentita, in alcuni passaggi, dal Presidente della Corte. In particolare, Esposito ha smentito, con una nota, "nella misura piu' assoluta e categorica", le espressioni, riferite a Silvio Berlusconi: "condannato perche' sapeva" e "condannato perche' sapeva non perche' non poteva non sapere".
Parlando del motivo, per cui si e' giunti alla condanna, ha spiegato Esposito nell'articolo: "Noi potremmo dire: tu venivi portato a conoscenza di quel che succedeva, non e' che tu non potevi non sapere perche' eri il capo. Teoricamente, il capo potrebbe non sapere. No, tu venivi portato a conoscenza di quello che succedeva. Tu non potevi non sapere perche' Tizio, Caio e Sempronio hanno detto che te lo hanno riferito. E' un po' diverso dal non poteva non sapere".
"Posso assicurare voi e i miei lettori che l'intervista è letterale, cioe' sono stati riportati, integralmente, il testo, le parole e le frasi pronunciate dal presidente di cui ovviamente abbiamo prova". Lo ha dichiarato Alessandro Barbano, direttore del 'Mattino,"' che ha pubblicato l'intervista -sgub al vecchio giudice Antonio Esposito.
A questo punto, il CSM, dopo la bocciatura dell'intervista, da parte del Primo Presidente della Cassazione, che l'ha definita "inopportuna", deve dimostrare la sua serietà e obiettività, bacchettando l'attempata toga. E lo stesso Napolitano, vicepresidente del CSM, che è stato sempre severo con i politici critici con le toghe, faccia sentire, alta e forte, la sua riprovazione.
Anche dopo aver letto le "confidenze", raccolte dal giornalista Lorenzetto, nel corso di una cena di qualche anno fa, noi un'idea ce la siamo fatta e la comunichiamo ai lettori: l'alta e faconda toga d'ermellino era "unfit", inadatta a giudicare il delicatissimo processo, che ha portato, per la prima volta nella storia della Repubblica, a decidere l'apertura della cella per il leader di un partito politico, votato da milioni di italiani.
Pietro Mancini