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Politica
Pensioni, Fassina (Leu): "Nulla contro Fornero ma così Draghi parte male"

I consiglieri economici scelti da Palazzo Chigi continuano a far discutere e a scontentare la maggioranza. A destra come a sinistra. Nell’elenco dell’ultima infornata di esperti a creare più di un malumore, soprattutto tra i gialloverdi - con la Lega sugli scudi che ha già annunciato un’interrogazione al Governo e il leader Salvini che ne 'esorcizza' in qualche modo la presenza –, è la professoressa Elsa Fornero. L’ex ministro del Lavoro nell’esecutivo Monti, il cui nome è legato alla contestatissima riforma delle pensioni, è stata infatti appena nominata consulente per le politiche economiche dal sottosegretario alla presidenza del Consiglio Bruno Tabacci, che ha la delega proprio al Dipartimento della programmazione economica (Dipe).

In realtà, già nel mese scorso diversi esperti chiamati nel Nucleo tecnico per il coordinamento economico, struttura del Dipe appunto, avevano fatto storcere il naso in maggioranza. Si fece subito sentire il vicesegretario del Pd Giuseppe Provenzano. Nel mirino dell’ex ministro per il Sud erano finite in particolare due figure, quella di Carlo Stagnaro dell’Istituto Bruno Leoni e quella del professore Riccardo Puglisi, al punto da ispirargli un tweet al vetriolo: “A coordinare e valutare la politica economica nella più grande stagione di investimenti pubblici è opportuno chiamare degli ultras liberisti? Una vita a infamare la spesa pubblica su Twitter, e poi… Ma aggiornare, se non le letture, le rubriche di alcuni consiglieri a Chigi?", scrisse il numero due del Nazareno.

Ma non fu il solo. L’ex viceministro all’Economia e deputato di Leu Stefano Fassina, infatti, il 2 luglio scorso ha addirittura interpellato in Aula l’esecutivo per “provare ad aprire qualche spazio nell'integralismo economico liberista che domina Palazzo Chigi”, come si legge nel documento. Il Governo intende “adottare iniziative per riconoscere un minimo - un minimo - di pluralismo sul piano della cultura economica, sul piano del genere e sul piano della rappresentanza territoriale”? Era questo il quesito posto, con tanto di risposta rassicurante da parte dello stesso Tabacci. Ed è proprio alla luce delle parole pronunciate dal sottosegretario che oggi Fassina, intervistato da Affaritaliani.it, dice al nostro giornale: “Rispetto alla sua risposta alla mia interpellanza, la nomina della Fornero è contradditoria. Si conferma l’assenza di pluralismo di cultura economica nel Governo”.

Sul fronte delle nomine, quindi, l’esecutivo è rimasto pressocché sordo e impermeabile alle vostre richieste?
Rimaniamo dentro un’ortodossia mainstream e, per quanto mi riguarda, la continua discriminazioni di culture e posizioni economiche diverse da quella dominante è inaccettabile. Questa è una maggioranza plurale, il Governo ne deve tenere conto. Ritengo insostenibile l’indifferenza dell’esecutivo Draghi verso il Parlamento, che è e rimane centrale secondo la nostra Costituzione.

I tecnici in Italia nella migliore delle ipotesi sono utilizzati come un paravento. Proprio oggi Fornero, in un’intervista a La Stampa, spiega che sono chiamati in soccorso della politica quando ci sono scelte impopolari da compiere. E’ così, secondo lei?
Chiariamo subito un concetto: non esistono tecnici e soprattutto i tecnici non sono neutri. Sono comunque portatori di ideologie e paradigmi culturali, ciascuno dei quali ha le sue implicazioni su diversi interessi economici e sociali. In sintesi, attraverso i presunti tecnici si cerca di dare oggettività a scelte politiche che tendenzialmente colpiscono i lavoratori e le lavoratrici e sono a beneficio degli interessi più forti.

L’ex ministro Fornero agita soprattutto il sonno di Salvini. Lei è preoccupato da questo innesto?
Sono preoccupato dall’assenza del pluralismo culturale, ripeto. Non ho nulla contro la professoressa Fornero. Non ho mai condiviso né la sua criminalizzazione e né quella dell’allora premier Mario Monti perché, è bene ricordarlo, c’è stato un Parlamento che ha votato i provvedimenti messi in campo allora. Dopodiché, Fornero ha fatto parte di una stagione politica che ha segnato molto negativamente il mondo del lavoro. Quindi, il problema non è Fornero, ma chi ha scelto una figura espressione di quella stagione politica. una stagione che ha lasciato ferite ancora aperte nel mondo del lavoro e che rischia di rendere ancora più complicato il passaggio che ci attende.

Sta dicendo che è colpa del Governo, insomma?
Ritengo che si parta col piede sbagliato, ma la responsabilità è del presidente del Consiglio Draghi e del sottosegretario Tabacci che hanno deciso di affrontare un momento così difficile con chi è espressione di una fase politica negativa.

Passiamo alla riforma delle pensioni. Con quota 100 in scadenza, sarà un nodo da affrontare. In che modo?
Il punto di caduta sarà ampliare i livelli di flessibilità e differenziare i diversi percorsi lavorativi. Per quanto mi riguarda, è necessario intervenire anche sulla speranza media di vita che, esattamente come pollo di Trilussa, colpisce in modo iniquo lavoratori e lavoratrici. Ecco perché è un parametro che va corretto in relazione soprattutto alle fattispecie di lavoro usurante.  

A proposito, che giudizio dà di Quota 100?
E’ stato un provvedimento utile che ha consentito un’uscita più flessibile dal mondo lavoro e non va giudicato in termini di ricadute occupazionali soprattutto in relazione a una fase di recessione e poi, nel 2020, di crollo dell’economia.

Intanto, lo sblocco dei licenziamenti ha messo in moto una slavina di esuberi. Serve un ripensamento da parte di Palazzo Chigi?
E’ auspicabile cominciare a far fronte ai problemi strutturali perché per quanto riguarda Gkn e Gianetti, per esempio, siamo di fronte a chiusure di aziende. In questo caso, anche nella vigenza del blocco, erano possibili i licenziamenti. Ecco perché bisogna guardare in faccia la realtà e capire che senza introdurre misure protettive contro il dumping sociale e fiscale da applicare all’interno del mercato unico europeo non fermiamo l’emorragia di lavoro. Un’emorragia che ha in questi due casi citati solo gli ultimi esempi di una ventennale corsa alle delocalizzazioni sia di multinazionali e sia di imprese italiane. L’Italia deve farsi promotrice di un’offensiva in Ue per arrivare all’obiettivo di direttive europee e misure sanzionatorie nei confronti di quegli Stati che praticano sistematicamente il dumping salariale e fiscale.

 


 

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