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Governo, destino segnato. Di Maio-Di Battista, la svolta del M5S via dal Pd

Governo, destino segnato. Di Maio-Di Battista, la svolta del M5S via dal Pd, con il “ritorno al popolo”

L’ultima minaccia di crisi arriva da Di Maio con l’ultimatum sul fondo salva-Stati, il fantomatico Mes: “O si rinvia, o il governo cade”. La immediata risposta del Pd, non di merito, ma una contro-minaccia, è irata quanto scontata: “Così si ritrovano Salvini premier”. E’il solito refrain (“una minaccia al giorno toglie le urne di torno”) che M5S e Pd si rimpallano dall’avvio del Conte-bis rendendo l’esecutivo traballante e impotente rispetto ai problemi del Paese. Ma c’è di più, molto di più.

Adesso Di Maio parla anche a nome di Di Battista in un ritrovato accordo per ora pro tempore e tattico ma forse strategico per frenare la caduta elettorale e ridare il peso politico ai 5Stelle recuperandone l’identità grillina, cioè l’anima popolar-populista e anti-politica  contro il potere e chi lo rappresenta: da Renzi a Salvini, alla Ue ecc. E’ il primo passo di una svolta politica che rimette tutto in discussione, a cominciare dalla alleanza con il Partito democratico e dai compromessi conseguenti per tenere in piedi un governo che alla fin fine fa perdere le penne soprattutto al M5S, visto come difensore dell’establishment.

E’ la rivoluzione, quanto meno il tentativo di ritornare a imboccare la via da cui il movimento era partito. Dall’Africa, Conte promette il rilancio dell’esecutivo con “Riforme di più ampio respiro”. Ma il rischio che siano solo annunci e parole al vento, c’è. I 5Stelle cambiano passo e spostano il tiro delle loro bordate anche (o soprattutto) verso gli alleati del Pd e verso lo stesso governo. Così Conte, se prima sedeva su una poltrona traballante, adesso vacilla sopra una polveriera. L’interrogativo su cui nel Pd ci si arrovella, se e quanto il M5S si è spostato a destra, è solo fuorviante: una questione di lana caprina.

Con la benedizione di Grillo, o per suo volere, e con il benestare di Casaleggio jr, il binomio Di Maio-Di Battista ha deciso di levare gli ormeggi liberando i 5Stelle dei lacci e lacciuoli del Partito democratico, per nulla interessati al posizionamento “destra” e “sinistra” ma con il timone che punta su una unica direzione: abbandonare il palazzo per tornare nel basso. Tornare, cioè, alla “verginità” del movimento e al suo credo originale: popolo contro élites! Via dunque dalla tenaglia arrogante e ideologica e di potere del Pd e della sinistra e via, liberati da questo fardello, nella società aperta dove saranno le circostanze a rimettere i nuovi paletti del progetto politico e a ridefinire nuove alleanze. Il governo, anche per questioni imprescindibili quali ad esempio la finanziaria, non cadrà. Ma la sua sorte è segnata. Perchè questo “nuovo” M5S ne è già fuori, sganciato dai doveri conseguenti. I tempi sono stretti e il M5S difficilmente riuscirà a fermare la sua discesa elettorale, soprattutto nel voto dell’ Emilia Romagna. Comunque andrà il 26 gennaio, il dado è tratto. Tocca a Di Maio lo strappo, pagandone il fio. Sarà Di Battista a prendere il testimone? 

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