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Politica
Governo, gioco dell'oca per il Conte ter. Molto rumore per tornare all'inizio
(fonte Lapresse)

Alla fine, dopo il breve giro di perlustrazione di Fico, si tornerà da dove si era partiti, rimettendo in piedi, con una ripulitura più di facciata che di sostanza, la maggioranza al governo prima dello strappo di Renzi. E sarà, sic et simpliciter, il “Conte ter”. E’ la riproposizione della classica via italiana della politica, un già visto, il solito gioco dell’oca. Forse, con queste  carte in tavola, l’unica strada per tirare avanti alla bell’e  meglio, evitando il salto nel buio.

A pagare il conto saranno gli italiani, sul piano sanitario e sul piano economico e sociale. Ma la realtà politico-istituzionale non è il frutto delle scelte democratiche degli elettori? In altre parole, si raccoglie quel che si semina. Ricapitoliamo. In una legittima e responsabile scala di priorità, il Quirinale non vuole le elezioni anticipate intese come definitiva lacerazione e stallo del Paese e quando entro martedì avrà da Fico la garanzia che Conte è l’unico ad avere una maggioranza (raccogliticcia) si ripartirà dall’ex premier che andrà alle Camere e il nuovo governo (purchessia) otterrà presumibilmnete la fiducia.

Quale governo? Con gli stessi partner politici del Conte 2 e una squadra di ministri e sottosegretari modificata per giochi interni di partito facendo passare l’idea che la crisi a qualcosa è servita e, soprattutto, per non far pagare dazio a nessuno dei suoi protagonisti, Renzi per primo. Sarà così? Renzi voleva cacciar via Conte e Conte resta premier. Conte (e non solo lui), certo di avere la maggioranza con i “responsabili” non voleva più Renzi al governo e invece Italia Viva ci sarà – ago della bilancia - come prima e più di prima. Quindi, nessuno dei due principali contendenti di questa crisi irresponsabile quanto inutile ha ottenuto ciò che voleva tornando sui propri passi, col rospo nel gozzo.

Per senso di responsabilità o per questioni di potere? La tracotanza di Renzi e il suo destreggiarsi nel gioco delle tre carte sono noti e anche stavolta dirà di aver vinto lui assumendosi il ruolo di salvatore della patria. Conte, un senzapartitodal tratto e dalla cultura politica democristiana salito sull’inghirlandato e sgangherato carro grillino solo per un passaggio, non ha neppure bisogno di salvare la faccia: tornando a Palazzo Chigi pur senza fanfara, i fatti parlano per lui.

Al di là delle caratteristiche dei singoli personaggi sono venuti al pettine per l’ennesima volta i nodi di una profonda crisi politico-istituzionale (frutto della disgregazione dello Stato e della dissoluzione dei partiti democratici di massa) che viene da lontano e non finirà qui. Una crisi di sistema  accentuata dall’inconsistenza politica del Partito democratico arruffapotere, senza identità e leadership, e del suo partner ex nemico M5Stelle che, fatto il pieno di voti grazie alla demagogia del “vaffa”, dopo aver fallito al governo la “prova del budino”, si ritrova  oggi “nudo e crudo”, a rischio scissione, a mandar giù qualsiasi rospo pur di evitare le elezioni anticipate. Andare al voto con una lista Conte in campo può voler dire lo sfarinamento elettorale e politico del M5S e un uppercut da ko per il PD, rovinando sotto il 15%. Anche la destra, tant’è ne dicano Salvini e la Meloni, cerca di evitare le urne, certa che con gli altri bruciati sui carboni ardenti della crisi, verrà poi il loro tempo.

L’altra via, quella del governo istituzionale, visto il quadro, resta una chimera. Così, il punto di equilibrio rimane Conte. Se vara il suo terzo governo, un esecutivo politicamente rafforzato e qualitativamente migliorato con l’innesto di personalità competenti extra partito, Conte dovrà far tesoro di quanto è successo e dei suoi stessi limiti imponendo a se stesso e al nuovo esecutivo un cambio di passo e di sostanza. La gente è stanca del teatrino della politica: serve un governo decentemente solido e di un minimo di qualità con un programma corto e sicuro dove le priorità sono il piano dei vaccini anti Covid, il sostegno alle famiglie e alle imprese piegate dalla crisi, la gestione oculata dei 209 miliardi del Next Generation EU. L’alternativa non è tanto lo spauracchio delle elezioni anticipate ma il caos annunciato.  

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