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Politica
Governo, l’autunno bollente di Conte

Con la brutta aria che tira per la crescita dei contagi del Coronavirus e lo spettro di un altro lockdown e per le ombre oscure sulla riapertura delle scuole e sui destini dell’economia agli italiani poco importa delle elezioni del 20 e 21 settembre in 6 regioni e in 1184 comuni e del referendum sul taglio dei parlamentari. Urne messe ai margini dalle emergenze che angustiano gli italiani, iniziando dalla problematica riapertura delle scuole il 14 settembre, dove in caso di flop, ad esserne travolta non sarebbe solo la ministra Azzolina ma l’intero governo.

Queste elezioni sono una questione per addetti ai lavori, di chi scende in campo presentandosi nelle liste e degli amici degli amici in cerca di benefit nella logica del “do ut des”. Nelle regioni in cui fra tre settimane si vota mancano partecipazione, emozioni, passioni degli elettori perché le liste sono fatte nei caminetti ristretti con riciclati e parenti e la campagna elettorale è gestita dai soliti noti, spesso vere e proprie consorterie affaristiche disinteressate ad affrontare anche sul territorio i nodi della crisi economica prodotta prima dalle conseguenze della globalizzazione e della rivoluzione tecnologica e poi dalla pandemia.

Ciò vale sia per il centrodestra che per il centrosinistra, specie per quest’ultima coalizione dove le regioni sono la cartina del tornasole della mancanza di un progetto politico e amministrativo e rappresentano la fotografia della crisi di identità delle forze di governo nonché delle loro divisioni, presentandosi sul territorio “una contro l’altra armata”. L’interesse, casomai, riguarda le conseguenze del voto: se cioè unasberla a danno dei 5Stelle e del PD, con altre regioni che passano al centrodestra, possa incidere a livello nazionale, agitando e destabilizzando la maggioranza di governo. La tenuta dell’esecutivo dipende dal voto in tre regioni: Marche, soprattutto Puglia e ancor di più Toscana dove una débacle del Pd e una vittoria del centrodestra sarebbe storicariportando il capitanoleghista a rialzare la voce nei confronti degli avversari e anche degli alleati.

Comunque, lo stato di salute del governo, se non proprio la tenuta, dipende anche dal referendum: bomba ad orologeria per l’intreccio referendum-legge elettorale. Nel Pd in fibrillazione per le incertezze del suo elettorato, specie gli ex Pci - il “Sì” al taglio dei parlamentari accompagnato però da una nuova legge elettorale era parte integrante per la nascita del Conte 2 - Zingaretti chiede l’aiuto del premier per affrontare il tema delle modifiche costituzionali (appunto, correttivi sulla legge elettorale: proporzionale con soglia di sbarramento al 5%) da affiancare alla riforma del taglio dei parlamentari oggetto del referendum.

Insomma, Zingaretti ha cercato di uscire dall’angolo con una furbata: all’interno del Pd dicendo Sì al taglio ma lasciando libertà di coscienza a chi vorrà votare No e all’esterno, con il M5S, ha posto le sue condizioniper il “Sì”. Comunque la si giri, per il Pd una rogna, o peggio, una trappola. Se vince il “Sì”, proprio perché il taglio dei parlamentari è da sempre parte integrante dell’antipolitica e della lotta contro la casta, (odio politicamente insensato per la democrazia rappresentativa), il M5S può uscire dalle secche e tornare a gridare vittoria mettendo il Pd al guinzaglio: un match point per Di Maio pronto a rimettersi i gradi del caporale di giornata. Se vince il “No”, subisce un duro colpo quella democrazia direttavoluta dai “giacobini da strapazzo” come li bollava Anna Kuliscioff, si sfasciano i grillini, sisfarina l’asse 5Stelle-Pd, si scolla la maggioranza. Così, il referendum va ben oltre la questione di merito: chi vota SI rafforza il governo; chi vota NO lo fa saltare.  

Il premier, per ora, osserva e tace (impegnato su altre priorità: pandemia, scuole, immigrazione, Recovery Fund e Mes, legge di stabilità) lasciando il Pd nelle sabbie mobili e il suo segretario in apnea, insomma, tenendosi distante dalle beghe della suamaggioranza. Conte sa che non tira più buon vento: né per lui (il gradimento del premier è oggi al 60%, dieci punti in meno rispetto a marzo) né – soprattutto - per la sua maggioranza (al 42% contro il 48,5% del centrodestra) per cui anche un eventuale plebiscito del “SI” al referendum non sarebbe altro che un ingannevole palliativo, peggio, una droga. Tocca a Conte riprendersi la scena, battendo i pugni, se serve, per affrontare soprattutto la crisi economica con una strategia e non, come è stato fin qui, con bonus e interventi d’emergenza o “di ristoro”.

Di Maio e Zingaretti e le compagnie cantantidei 5Stelle e del Pd vanno lasciati ai loro bla-bla. La strada è quella indicata dal presidente di Confindustria Bonomi (“Sulle grandi scelte – dagli investimenti ai contratti decentrati – è tutto fermo, bisogna dare risposte strutturali, non si può galleggiare solo sulle politiche dei sussidi a pioggia o degli interventi spot”) e dall’ex presidente Bce Mario Draghi: “I sussidi servono a sopravvivere ma finiscono. Ora servono maggiore trasparenza nello spiegare verso quale rotta vogliamo andare e quali riforme strutturali vogliamo adottare, altrimenti il paese rischia di non avere prospettiva”. Già. La parola a Conte. Adesso. Prima che sia troppo tardi.     

 

 

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    contegiuseppe conte





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