I perdenti
Di Gianni Pardo
Pierferdinando Casini, avete presente? Gianfranco Fini, ve lo ricordate? E si potrebbe proseguire snocciolando nomi e facendo risorgere nella memoria dei visi, delle voci, a volte persino qualche idea politica. Basterebbe nominare Bertinotti, Di Pietro, Diliberto, ed anche politici folcloristici come Pecoraro Scanio, il giovane e ruspante Francesco Caruso e il trio Bocchino-Briguglio-Granata. Personaggi che, a nominarli, inducono la sensazione d'infastidito imbarazzo che si prova ricordando un parente malato che dovremmo andare a visitare.
La parabola della vita può essere piatta, come è quella della maggior parte di noi, può essere ascendente e può essere discendente. Il più fortunato è colui la cui parabola è costantemente ascendente, perché è in grado di apprezzare ciò che di nuovo ottiene. È il caso di Winston Churchill, di Charles De Gaulle o di Ronald Reagan. Uomini che, una volta in pensione, divengono quasi i monumenti viventi di sé stessi. Viceversa tristissima è la sorte di chi vive una parabola balistica, dal basso all'alto e poi dall'alto in basso, fino all'annullamento. Nessuno di noi soffre di non essere citato pressoché quotidianamente nei giornali, o di non essere riconosciuto per istrada; e viceversa questa anonimità è la croce quotidiana di personaggi come Gorbaciov, accolti quasi con un leggero moto di sorpresa: "Ah, è ancora vivo, Lei?"
Il perdente che si interroga sulla sua mutata sorte sarà fortunato se troverà il modo di salvarsi attribuendone la causa alla malvagità o alla stupidità altrui. Se invece sarà onesto e spietato con se stesso, identificherà, troppo tardi, i propri torti e i propri errori. In questo campo Fausto Bertinotti è fra i più fortunati. Non solo non è uscito di scena accompagnato dai fischi, ma la sua naturale cortesia lo ha reso umanamente simpatico anche agli avversari politici. Lo stesso fallimento dell'ultimo governo Prodi, che lo ha tanto coinvolto, non è stato dovuto a lui ma al massimalismo dell'estrema sinistra tutta.
Viceversa, il fallimento più inescusabile - accompagnato dai sarcasmi e dai lazzi del pubblico - è quello di Gianfranco Fini. Da Presidente della Camera a candidato non eletto per un semplice seggio da parlamentare è il massimo salto in giù. È veramente difficile non essere severi con lui sia dal punto di vista umano, sia dal punto di vista intellettuale. Con la sua arroganza Fini si è alienato la maggior parte del proprio gruppo dirigente e si è dimostrato un ingrato nei confronti di Berlusconi. Nel politico di successo questi vizi sono soverchiati dalla "virtù" machiavellica; nella sconfitta invece sono del tutto imperdonabili. Dal punto di vista intellettuale si rimane invece annichiliti dalle dimensioni dei suoi errori di valutazione. Se non piace stare in cima ad una torre o ci si rassegna o si scende. Per esempio passando la mano. Se invece si immagina scioccamente di avere le ali e di poter volare più in alto, è ovvio che ci si schianterà. Sin dal primo momento si è visto che Fini non aveva dove andare. E certo non a sinistra. Ciò che non si immaginava era una disfatta tanto rovinosa da essere sanzionata con la morte civile. Colui che osò chiedere: "Che fai, mi cacci?", prima si è autoespulso dal Pdl, poi dall'intera politica.
Analoga, anche se meno grave, è la sconfitta di Casini. Dopo avere rifiutato qualunque onore pur di non essere un gregario di Berlusconi, e dopo essere stato orgogliosamente all'opposizione per cinque anni, ha intravisto in Monti l'astro sorgente a cui aggrapparsi e ne ha favorito la carriera col più servile degli atteggiamenti. Non ha aperto bocca se non per adularlo, dichiararlo geniale, salvifico, indispensabile. Ha sperato di essere il king maker del nuovo perno dell'Italia di cui lui stesso sarebbe stato un Vice ben più influente che con Berlusconi: il Professore è infatti personaggio molto più sbiadito. Ma anche Pierferdy, pur se meno gravemente di Fini, si è sbagliato. Gli italiani non hanno perdonato a Monti il diluvio di tasse, la scoperta ambizione, l'arroganza sotto il mantello della moderazione e infine la noia mortale che ispira. Contati i voti, la piccola coalizione ha rischiato di non entrare in Senato e lo stesso Casini c'è entrato come "migliore dei perdenti". Quasi per pietà.
Dopo cinque anni di anticamera, invece di una clamorosa rivincita Casini ha ottenuto un modesto pensionamento. Già si parla poco di Monti, che oggi non conta niente, ma per lui si pone la domanda: Pierferdinando chi?