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Politica
Il video di Beppe Grillo e le diverse sfumature di violenza

Così come estremo rispetto si dovrebbe a chi potrebbe essere vittima di un’azione orrenda e che, come spesso accade, si ritrova ritraumatizzata e rivittimizzata da un racconto che per contenuti, toni, pregiudizi e giudizi, risulta osceno e annichilente.

Ancora una volta si ripete l’inaccettabile copione che prevede il finire ‘sotto accusa’ di chi ha il coraggio di denunciare. Le accuse, d’altronde, sono sempre le stesse: se l’è cercata, era consenziente, si divertiva, non ha denunciato subito.

È evidente che c’è bisogno di un cambiamento culturale, che passa attraverso l’affermazione del diritto di tutte le donne di essere libere di trascorrere le serate come credono senza dover mettere in conto di poter essere passibili di aggressioni di vario genere.

È necessaria, inoltre, una cultura dell’empatia.

Esiste un meccanismo psicologico per cui, qualunque essere umano, di fronte all’orrore che gli sta capitando o che ha vissuto, si blocca, si congela, non vuole ricordare e, quindi, mette via, dissocia, nel tentativo di continuare a vivere la sua vita. Purtroppo però, l’orrore pian piano viene a galla e fa sentire in balìa di emozioni, pensieri e sensazioni dolorosissimi, mette a contatto con la propria fragilità, con la vergogna di essersi fidati e col senso di colpa che il mondo, quasi sempre, rimanda.

Ecco perché, spesso, occorre parecchio tempo prima di decidere di procedere alla denuncia in un contesto culturale che fa sentire sbagliate e degne di biasimo: le ragioni sono, infatti, cliniche (post –traumatiche) e sociali.

Chi subisce dei traumi, per poterli attraversare, ha la necessità di essere messo in sicurezza, fatto sentire protetto, non additato e deplorato. E di questa messa in sicurezza siamo tutti responsabili, perché tutti siamo chiamati al rispetto delle vittime e, se si può dire, anche degli aggressori.

È anche intervenendo sugli autori di reato, attraverso dei programmi di intervento clinico sui cosiddetti sex offenders, che si pongono le basi di un cambiamento culturale, che deve per forza prevedere un uso differente del linguaggio e delle comunicazioni mediatiche, promuovendo la riflessione e l’empatia. La violenza, in qualsiasi forma, lo sappiamo, annulla sia la possibilità di pensare che quella di sentire. E così per noi, travolti dalla violenza di questo tipo di comunicazione, rischiamo di non riuscire a pensare, di non riuscire a metterci nei panni di chi oggi forse, ha solo bisogno che, invece di dire, ci mettiamo in ascolto.

*Psicologa del servizio di psicotraumatologia di Arp, Studio Associato di Psicologia Clinica, a Milano e componente del Comitato scientifico della Casa della Psicologia dell’Ordinedegli Psicologi della Lombardia

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