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Politica

Alberto Alesina e Francesco Giavazzi, nell'editoriale di oggi del "Corriere" esordiscono con questa frase: "Il nuovo governo, chiunque lo guiderà, dovrà dare una risposta rapida e concreta ai problemi del Paese, altrimenti Grillo lo sommergerà". Moltissimi sottoscriverebbero senza esitare questa affermazione. E tuttavia. Credere che se si affida il potere a uno sprovveduto lui se ne avvantaggerà mentre i cittadini rischieranno solo guai non è del tutto esatto. Quell'esperienza potrebbe costituire una salutare e indimenticabile lezione per tutti.

Finché guida un altro si può sempre dire: "Io andrei più veloce"; ma se si ha il volante in mano, e si rischia in proprio, si è indotti ad essere più prudenti. Beppe Grillo può dire assurdità e fare le promesse più inverosimili (il reddito di cittadinanza, ad esempio) perché in questo momento non ha alcuna possibilità di essere chiamato a realizzare ciò che promette. Il giorno in cui andasse al governo, i suoi ministri gli chiederebbero: "Perfetto, ma i soldi dove li prendiamo?"
Nello stesso modo si può ventilare l'uscita brutale dall'euro perché, effettivamente, l'operazione offrirebbe dei vantaggi. Ma nel momento in cui si fosse sul punto di realizzarla, i competenti prospetterebbero gli inconvenienti dell'operazione e forse l'entusiasmo si raffredderebbe. Di molto.

Il demagogo gioca sul velluto finché può limitarsi a denunciare e a promettere, insomma a sbraitare. Se poi gli si affida il potere, si trova posto dinanzi ad una alternativa ineludibile: o rinnega gran parte delle cose che ha detto, piegandosi alle necessità obiettive come facevano quelli che lui criticava, oppure attua quanto promesso, contro venti e maree. Essendo pronto a pagarne lo scotto, in termini di popolarità. Infatti il popolo non perdona chi, pur di attuare un progetto molto applaudito, lo mette nei guai: "Noi non sapevamo che ne sarebbe conseguito questo, ma lui avrebbe dovuto saperlo. E non avrebbe dovuto farci sognare una cosa simile". Gli ateniesi non furono molto grati ad Alcibiade, per averli spronati ad aggredire Siracusa.

Esiste certo il caso marginale in cui i governanti non vedono una soluzione semplice ed effettivamente salvifica, tanto che chi va al governo e la realizza si rivela un padre della Patria. Ma il caso è marginale, appunto. L'ipotesi che tutti siano cretini e solo uno sia abbastanza intelligente per capire qualcosa non è la più probabile. Della validità della profezia non si può essere sicuri neanche se si realizza. Quando Churchill denunciava la pericolosità di Hitler e predicava di prepararsi alla guerra, molti non gli davano retta. Poi le cose andarono come andarono e gli inglesi lo chiamarono al governo: ma quelli che non gli davano retta, quelli che avevano creduto alle promesse della Conferenza di Monaco, non erano tutti degli imbecilli. Non si dice forse che il diavolo non è poi tanto brutto come lo si dipinge? Non si dice forse che can che abbaia non morde? E se realmente Hitler si fosse accontentato dell'Anschluss e dei Sudeti, sarebbe stato il caso di attaccarlo e scatenare la Seconda Guerra Mondiale? Oggi sappiamo che Chamberlain era un brav'uomo capace di farsi illusioni, mentre Churchill aveva una disincantata visione della realtà: ma lo sapevano gli inglesi contemporanei, prima dell'invasione della Polonia?

Grillo per giunta non è né uno storico, né un economista, né un giurista, né un politico. A differenza di Mussolini e di Hitler, non ha neanche una sua visione (poco importa se giusta o sbagliata) del futuro e della società. Non si accorge, dopo tanto gridare, di essere rimasto uno che sa solo fare satira. E la satira non è uno strumento di potere: è una forma letteraria e un tipo di intrattenimento, nulla di più. Il giorno in cui andasse al potere, Beppe rischierebbe o di essere esautorato dai competenti o di combinare in breve tempo tali disastri da essere addirittura rimosso.

Ecco perché non bisogna essere eccessivamente spaventati da Grillo. Il miglior modo di curare il Paese - soprattutto un Paese ignorante e dalla testa dura come il nostro - è quello di fargli assaggiare la minestra dei suoi sogni. Così come è guarito dal fascismo e dalla dittatura, guarirebbe forse dal qualunquismo.

Sul "Corriere" i due editorialisti continuano così: "All'antipolitica e al populismo c'è un solo antidoto: fare qualcosa, finalmente, e farla bene". E si è indotti ad un sorriso amaro. C'è sicuramente modo di farla, la cosa giusta? Chi ci assicura che i provvedimenti da loro proposti non scatenerebbero la rivoluzione, dopo tanti decenni di demagogia dall'alto?

Gianni Pardo, giannipardo@libero.it
 

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