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Politica

Di Gianni Pardo

Dal 1945 è tutto un pullulare di movimenti di contestazione, a volte violenti: e tuttavia nessuno di essi ha lasciato grandi tracce nella storia. Le rivoluzioni vere infatti sono figlie della disperazione o dell'ideologia, non del capriccio. Fra le prime si possono citare le Guerre Servili romane, le jacqueires in Francia, la rivolta del Ghetto di Varsavia; ideologica è invece la Rivoluzione Francese, nata piuttosto da principi politici e "filosofici" che da un reale disagio. Comunque, perché una rivoluzione trionfi, bisogna che abbia buoni motivi; diversamente, come nel caso emblematico del '68 in Francia, si finisce col fare un gran fracasso e non concludere nulla. Dalla fine della Seconda Guerra Mondiale si è vissuto un periodo di pace, libertà e prosperità. Dunque sarebbe stata possibile solo una rivoluzione ideologica: ma ideologie nuove non ne sono nate e le vecchie - comunismo, fascismo, nazismo, maoismo, forse perfino il socialismo - sono fallite. Perfino dal punto di vista economico si è avuta l'impressionante marcia indietro di Paesi, come la Cina, che si sono date alla più scatenata economia di mercato. I giovani si sono dunque trovati a vivere in un tempo tanto facile e tanto disincantato da sentirsi costretti a mimare - con le finte rivolte - una storia che non hanno potuto vivere. Circa mezzo secolo fa un umorista francese, Sempé, ha disegnato una vignetta immortale. Su un piccolo molo, ai piedi di una scala in pietra che presumibilmente conduce a una villona sulla Costa Azzurra, un giovane tiene la cima del suo yacht e grida verso l'alto: "Maman, je m'ennuie!", mamma, mi annoio. La risposta la trovarono poi i sessantottini francesi con lo slogan: "La fantaisie au pouvoir!" Che è come dire "Stiamo così bene che non sappiamo che cosa chiedervi.

Allora stupiteci, divertiteci. Fateci superare la noia". I Paesi sviluppati vivono un momento di stasi. Economicamente il loro massimo sforzo tende a conservare l'esistente. Politicamente, disponendo già della libertà e della democrazia, non hanno dove andare. E allora i giovani soffrono di uno scontento esistenziale: "Maman, je m'ennuie!". Per questo, alla ricerca di una risibile gloriola, alcuni di loro tendono a sfogarsi scegliendo bersagli insignificanti e se possibile mal difesi. In realtà, che cosa può importare a dei ragazzi torinesi o marsigliesi di un treno che corre in una galleria sotto il Moncenisio? Protestano per sentirsi vivi. E infatti la maggior parte dei movimenti sono di "contestazione", non di "proposta". Il militante "No TAV" è più un fervente del "No" che un nemico del "TAV". Senza accorgersi che chi dice "no" non è uno che agisce, cioè un adulto, ma uno che guarda fare, cioè un bambino. E questi minorenni dicono "no" agli aeroporti, alle centrali nucleari, al Mose di Venezia, al Ponte sullo Stretto, a un radar militare, all'immaginario elettrosmog, alla riforma della scuola. Un tempo le rivoluzioni vere le facevano i progressisti, ora quelle false le fanno i conservatori. In questo solco si iscrive il momento politico italiano. Con la recessione, la disoccupazione, il possibile fallimento dell'Italia e dell'euro, la nazione ha un problema che potrebbe divenire tragico. E tuttavia, dal momento che nessuno, né a Roma né a Bruxelles, sembra avere una soluzione, per convenzione si fa finta di niente. Ci si occupa di altri problemi, più o meno insulsi. In particolare si vagheggia un mitologico e nebbioso cambiamento che si incanala nelle manie della nostra società: i costi della politica, la corruzione, il conflitto d'interessi, la legge elettorale, il rinnovamento delle istituzioni.

A questi drammi futili e immaginari offre oggi una risposta un partito altrettanto immaginario e futile come il Movimento 5 Stelle. Tutto si aggiusterà mandando a casa i politici attuali; buttando in galera la gente; tagliando gli stipendi ai parlamentari; mettendosi continuamente di traverso e soprattutto dicendo parolacce. Nessun progetto economico, nessun progetto politico, perché - per loro come per i vecchi partiti - non c'è nulla da proporre. Gli stessi "tecnici" li abbiamo visti all'opera. Da un lato la democrazia e l'economica di mercato sono già il meglio, dall'altro i difetti morali della nostra classe politica sono anche i difetti morali della nostra società. Una società che il M5S non cambierà di certo. L'unica speranza è che, come i comunisti, anche gli occidentali si accorgano che hanno sbagliato strada. Bisogna cambiare, sì, ma non nella direzione del futuro. Bisogna tornare al passato. Bisogna diminuire l'intervento dello Stato e conseguentemente tasse e imposte; liberalizzare l'economia; lasciare che il mercato regoli il lavoro; allargare la sfera della responsabilità individuale e della libertà. Anche se sembra una battuta, uscire dalla paralisi attuale passando non dal XX al XXI Secolo ma dal XX al XIX. O forse prima.

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