Le tante giravolte di Violante...
di Pietro Mancini
Il nostro è uno strano Paese dove, come è noto, Veltroni, pur avendo guidato i giovani comunisti del partito di Berlinguer, si è sempre dichiarato un fervente anticomunista. E dove Fini - che scese in piazza, facendo il saluto romano, con i giovani neofascisti piuttosto "vivaci" - ha bocciato la dittatura di Mussolini come "il male del secolo scorso".
E, dunque, non è in discussione la legittimità delle nuove posizioni di don Luciano Violante sui nodo, da sempre incandescente, dei rapporti tra politica e giustizia.
Ma, in nome della chiarezza e della trasparenza, oggi più che mai necessarie, sarebbe utile che l'ex Presidente della Camera diradasse i dubbi, confutando la tesi di quanti ipotizzano che la scelta sia legata a convenienze politiche e ad aspirazioni per la poltrona e lo stipendione della Consulta. E motivasse, pubblicamente, le ragioni del suo passaggio da leader, negli anni 90, del cosiddetto "partito dei giudici" - che gli valse la definizione, da parte di Cossiga, di "piccolo Vishinsky" - all'adesione totale alla tesi, in passato "dalemona" e oggi "renzuscona", del primato della politica e del Parlamento sulla magistratura, spingendosi a proporre il superamento dell'obbligatorietà dell'azione penale.