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Politica
Legge elettorale, Pd bocciato e M5S disastroso. Le pagelle

Accuse. Controaccuse. Insulti. Urla. Fischi. In aula a Montecitorio è andata in scena la morte dell'accordo a quattro (Pd, Forza Italia, M5S e Lega) che avrebbe dovuto riformare la legge elettorale in senso proporzionale con sbarramento al 5%. Ora la strada si fa in salita e trovare un'altra intesa, come auspicato dai piccoli partiti e da Forza Italia, diventa quasi impossibile. Resta l'ipotesi del decreto per armonizzare la legge uscita dalla Consulta per Camera e Senato e correre comunque alle urne a fine settembre (sarebbe questa la volontà dei renziani, sostenuti con forza e vigore da Matteo Salvini).

infografica legge elettorale
 

Ma chi ha vinto e chi ha perso con i franchi tiratori in scena a Montecitorio?
Ecco l'analisi e le pagelle di Affaritaliani.it.

PARTITO DEMOCRATICO - MATTEO RENZI: VOTO 5. L'ex presidente del Consiglio ha accettato a fatica il proporzionale tedesco, abbandonando il Verdinellum-Rosatellum e il Mattarellum, pur di andare al voto a fine settembre. Ma al suo interno non è stato coeso. Nonostante la netta vittoria di Renzi alle primarie dello scorso 30 aprile, sono ancora molti i deputati e i senatori - soprattutto quelli che si erano schierati con Orlando ed Emiliano - che non seguono le direttive del Nazareno. Vero che i franchi tiratori sono stati soprattutto tra i grillini, come ha dimostrato il tabellone dell'Aula, ma vero anche che almeno alla Camera il Pd è quasi autosufficiente e, considerando i voti di Forza Italia e Lega che comunque si sono aggiunti a quelli dei Dem, lo scivolone sull'emendamento non avrebbe dovuto accadere se tutto il Pd avesse votato compatto. Segno che Renzi non controlla al 100% tutti i suoi e le divisioni soprattutto sulla data delle elezioni continuano a caratterizzare il partito di maggioranza relativa (almeno in termini di seggi).

MOVIMENTO 5 STELLE - BEPPE GRILLO: VOTO 2. Non ci sono dubbi sul fatto che i pentastellati abbiano fatto una brutta figura. Con un colpo di scena prima dicono sì al sistema tedesco (votato in massa dagli iscritti online), poi emergono i dubbi soprattutto su listino bloccato e sul no al voto disgiunto (non lo sapevano prima?), quindi Grillo mette a tacere i malpancisti, infine in Aula succede di tutto. Forse l'emendamento Biancofiore, anche se approvato, non avrebbe stravolto la riforma, visto che riguardava il Trentino Alto Adige (feudo del Pd, su questo i Cinque Stelle hanno ragione), ma fatto sta che quando si prende un impegno e in Commissione si vota in un modo poi non ha alcun senso votare in maniera differente in Aula. O, quantomeno, tutto ciò dimostra una scarsa tenuta a livello parlamentare e una profonda difficoltà da parte del leader pentastellato di controllare i suoi parlamentari. Nonostante abbiano cercato di difendersi accusando il Pd, i Cinque Stelle agli occhi dell'opinione pubblica restano i "killer" della riforma proporzionale. Ma non voleva tornare alle urne subito?

FORZA ITALIA - SILVIO BERLUSCONI: VOTO 6. L'ex Cavaliere ha giocato d'astuzia sulla legge elettorale, voleva il tedesco-proporzionale (per far l'inciucio con Renzi, dicono i maligni) ma ha subito il flop in Aula dell'accordo 4, anche se questa volta Forza Italia non è finita sul banco degli imputati. Brunetta e gli azzurri hanno assistito quasi da spettatori alle accuse velenosissime tra Pd e M5S ed ora sono un po' frastornati sul da farsi. Berlusconi non vuole votare con il maggioritario (Legalicum o Mattarellum o Rosatellum-Verdinellum) ma la sua proposta di tedesco rivisto è ormai tramontata. Sicuramente l'ex Cav tirerà fuori qualche altro cilindro dal cappello, ma al momento si lecca le ferite e studia come rilanciare.

LEGA - MATTEO SALVINI: VOTO 6,5. Il Carroccio ha puntato tutto sul voto subito accettando anche una legge che non piace in Via Bellerio perché "favorisce l'inciucio". I leghisti sono stati coerenti e guidati dall'esperto e preparatissimo Giancarlo Giorgetti, vera mente del partito ex padano, hanno votato in Aula seguendo l'accordo raggiunto nei giorni scorsi. Ora Salvini, ovviamente, grida allo scandalo e al "partito delle poltrone che non vuole il voto" ma, alla fine, se davvero si dovesse andare al decreto legge per armonizzare il Legalicum tra Camera e Senato alla Lega potrebbe perfino convenire. Vedremo.

SINISTRA (SI-MDP): VOTO 7. Si sono chiamati fuori dall'accordo a 4, hanno accusato sia il Pd sia i Cinque Stelle ed ora rivendicano il successo chiedendo tempo per approvare una riforma elettorale "migliore" senza correre alle urne difendendo quindi l'esecutivo Gentiloni. I bersaniani hanno dimostrato coerenza e sfidano il Pd e Renzi sul tavolo delle alleanze prograttiche puntando sul rilancio del Centrosinistra (ovviamente a certe condizioni), accusando di fatto il partito del Nazareno di volere l'inciucio con Berlusconi e Forza Italia. Con il flop del proporzionale la loro forza è decisamente aumentata.

ALTERNATIVA POPOLARE - ANGELINO ALFANO: VOTO 8. Sembra incredibile, ma è vero. Il ministro degli Esteri è risorto. Dopo esser stato sbertucciato da Renzi per il suo no allo sbarramento al 5%, il leader di AP si è preso una bella rivincita sul suo partner di governo. Ora i centristi chiedono con forza "responsabilità" e soprattutto vedono tramontare l'incubo di una soglia che, quasi certamente, li avrebbe lasciati fuori dal prossimo Parlamento. Il Centro, forte anche della paura delle elezioni di molti deputati (di tutti i gruppi), è tornato davvero al Centro. Almeno per un giorno.

FRATELLI D'ITALIA-AN - GIORGIA MELONI: VOTO 6. La leader di Fratelli d'Italia è rimasta fuori dall'accordo a 4, abbandonatain qualche modo dal suo alleato Salvini. Ha temuto per lo sbarramento al 5% (ora quasi certamente saltato, ed è una buona notizia) ma è rimasta fuori dai giochi. Il patto poi affossato sulla legge elettorale proporzionale ha dimostrato che Fdi non partecipa ai tavoli che contano. Come se la partita nel Centrodestra fosse un gioco a due tra Lega e Forza Italia, ma ora le cose sono cambiate e la Meloni potrà ricercare un ruolo di primo piano. Forse (visti i numerissimi risicatissimi in Parlamento).
 

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