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Politica

In morte di Pietro Ingrao

Di Gianni Pardo

De mortuis nil nisi bonum, dei morti non si può dire che bene. Ecco un principio che corrisponde a una certa delicatezza nei confronti di coloro che amavano il defunto o forse perfino a una forma di prudenza, con i morti non si sa mai. Ma questo principio non si applica al giudizio storico. Se muore il boia di un campo di sterminio, non si può chiedere ai sopravvissuti di dirne “soltanto bene”, magari inventando una “dedizione assoluta a quello che credeva il suo dovere”. Cioè torturare prigionieri indifesi. Ecco perché quando, nel 1953, morì Stalin, chi teneva gli occhi aperti sulla realtà non si sentì di partecipare al lutto di tanta parte del mondo. Le lodi esagerate di giornali indecenti e proni alla “verità” del P.c.u.s, come l’Unità, giungevano al cuore come coltellate.
Stalin fu un orrendo e crudele dittatore. Il giudizio su di lui non poté che essere estremamente negativo, sia quando era ancora vivo, sia quando morì, sia in seguito. Soltanto i fanatici e gli sciocchi hanno dovuto aspettare il XX Congresso del P.c.u.s. per far finta di apprendere la storia dalle parole di Nikita Khrushchev: la verità non aveva bisogno di firme e certificazioni dall’alto. Essa era evidente, come era evidente la miseria, l’oppressione e il terrore sotto cui era stato costretto a vivere il popolo sovietico. Per ignorarla, quella verità, in Occidente bisognava chiudere volontariamente gli occhi e non aprirli mai.
Oggi parole del genere sembrano troppo dure, perfino esagerate, ma chi ha vissuto quegli anni lontani ricorda ancora come un incubo la continua violazione dell’evidenza a favore delle “verità di partito”, le più sfacciate delle bugie che in Italia quasi metà della popolazione ingoiava con entusiasmo. Votare contro il piano Marshall e contro gli aiuti agli italiani affamati era nel nostro interesse. La Nato voleva attaccare l’Unione Sovietica. Bisognava fare la rivoluzione per divenire una Democrazia Popolare, come le felici Polonia, Cecoslovacchia, Romania, Ungheria. Oggi è di moda sputare sulla Democrazia Cristiana, ma solo i vecchi ricordano che quello scudo con scritto “Libertas”, se proteggeva molti corrotti e molti ipocriti, ci proteggeva anche dall’Armata Rossa.
Comunque, non si può nemmeno dire che, morto Stalin, si sia instaurato il rispetto per la verità. Ancora negli Anni Settanta ci cono stati molti disposti ad accettare la “verità” secondo cui il Muro di Berlino serviva a proteggere l’Est dall’Ovest e dalla sua corruzione, e non a trattenere in carcere chi si trovava chiuso nella prigione dell’Est. Anche se tanti furono uccisi dai Vopos, i poliziotti dell’Est, mentre tentavano di evadere e di passare il Muro, per i comunisti si viveva meglio all’Est. Insomma i tedeschi di Pankow rischiavano di morire, e spesso effettivamente morivano, per i fuggire dal paradiso.
Ingrao non diceva nulla di diverso dai fanatici comunisti. È per questo che la severità del giudizio, nei suoi confronti, non può essere attenuata. Dopo avere conosciuto e osannato la dittatura fascista, quando è caduta l’ha odiata con tutte le sue forze ma per adorarne un’altra, ancora peggiore: quella stalinista. E questa l’ha servita fedelmente, quali che fossero gli avvenimenti storici. Non influenzò il suo atteggiamento nemmeno la smentita più tragica e sanguinosa, la Rivoluzione Ungherese del 1956. Molti anni dopo dirà: “Ho sbagliato”, ma a che serve? Fra l’altro, non è vero che ha sbagliato. Sbaglia chi ha informazioni false, chi è indotto in errore, chi non sa di sbagliare. Ma allora in Italia e in Occidente la stampa era libera, ciò che avveniva a Budapest lo sapevamo per filo e per segno, la tesi della congiura borghese per abbattere la Rivoluzione era ridicola ed era smentita da un oceano di documenti. Ingrao non sbagliò, Ingrao si allineò, per fanatismo comunista, con la tesi del partito, avendo portato – come diceva Guareschi – “il cervello all’ammasso”. Tanto l’ideologia comunista era giustificata nel suo tentativo di impadronirsi del mondo “per renderlo felice”, che nel frattempo poteva mentire e uccidere a volontà.
L’umanità ha condannato all’eterna esecrazione Torquemada che pure fu un uomo del suo tempo, in buona fede. Non si può trattare diversamente e meglio chi, nel nostro tempo, ha preferito una sua fede distorta e – nel caso ungherese – assassina, alla più piana delle verità e al semplice dovere di umanità.

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