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Palazzi & potere
Coronavirus, in Italia costretti a scegliere chi salvare
(fonte Lapresse)

"Poche settimane fa, il Dr. D., primario di cardiologia di mezza età in uno dei più grandi ospedali del Nord Italia, ha iniziato ad avere la febbre. Temendo di avere Covid-19, ha cercato di sottoporsi ai test di conferma, ma gli è stato detto che non ce ne erano abbastanza per coloro che non erano stati esposti a una persona infetta. Gli è stato quindi consigliato di rimanere a casa fino a che la febbre non se ne fosse andata. E' tornato al lavoro 6 giorni dopo, ma dopo 5 giorni si è ripresentata una lieve febbre ed è comparsa la tosse. Si è nuovamente messo in quarantena nel seminterrato della sua casa per non esporre la sua famiglia a rischi". Il Dr. D. è stato uno dei tre medici del Nord Italia che in via anonima hanno parlato alla prestigiosissima 'New England Journal of Medicine', rivista medica più importante e antica al mondo, che pubblica ora un report a firma di Lisa Rosenbaum sulla situazione italiana, sotto i riflettori del mondo per la crisi generata dall'epidemia di coronavirus. "Con la metà dei 1.000 letti del suo ospedale occupati da pazienti con Covid-19, il Dr. D., che alla fine ha è risultato positivo al nuovo coronavirus lo scorso 10 marzo, sa di essere fortunato. Circa 60-90 pazienti con sintomi di Covid-19 si presentano ogni giorno al pronto soccorso del suo ospedale. Viene messa in atto la ventilazione non invasiva, ma la rapidità del deterioramento respiratorio nei pazienti più gravi, compresi alcuni giovani, è sorprendente e spesso imprevedibile". 'Non c'è una bibbia 'predittiva' che può aiutarti', mi dice. E questa incertezza non ha fatto che accentuare l'agonia delle decisioni impossibili che i dottori stanno affrontando. "Dobbiamo decidere chi può andare avanti", afferma.

 "Qualunque sia la paura che questi operatori nutrono per la propria salute - prosegue l'articolo - quello che sembravano trovare molto più insopportabile è guardare le persone morire perché le risorse disponibili limitano la disponibilità di supporto ventilatorio. Questo 'razionamento' è così avverso che c'è esitazione nel descrivere come vengono prese queste decisioni. Il Dr. S. ci offre uno scenario ipotetico con due pazienti in insufficienza respiratoria, uno di 65 e l'altro di 85 anni, con patologie preesistenti. Con un solo ventilatore, si intuba il 65enne. Il dottor D. mi ha detto che il suo ospedale valuta, oltre al numero di comorbidità, la gravità dell'insufficienza respiratoria e la probabilità di sopravvivere all'intubazione prolungata, con l'obiettivo di dedicare le sue risorse limitate a coloro che trarranno maggiori benefici dalle cure e avranno il massimo possibilità di sopravvivere". "Ma anche se gli approcci variano anche all'interno di un singolo ospedale, è all'età che viene spesso dato il maggior peso. Mi hanno raccontato una storia, per esempio, di un ottantenne 'fisicamente perfetto' fino a quando non ha sviluppato insufficienza respiratoria correlata a Covid-19. E' morto perché non è stato possibile offrirgli la ventilazione meccanica. Sebbene il sistema sanitario in Lombardia con ricche risorse abbia ampliato il più possibile le capacità di terapia intensiva, semplicemente non ci sono abbastanza ventilatori per tutti i pazienti che ne hanno bisogno. 'Non c'è modo di fare altro', mi ha detto il Dr. L. 'Dobbiamo decidere chi deve morire e chi dobbiamo mantenere in vita'".

 "L'agonia di queste decisioni - si legge ancora nell'articolo - ha spinto molti medici della regione a cercare un consiglio etico. In risposta, il Collegio italiano di anestesia, analgesia, rianimazione e terapia intensiva (Siaarti) ha formulato delle raccomandazioni sotto la direzione di Marco Vergano, anestesista e presidente della Sezione Etica della Siaarti. Sebbene le linee guida non suggeriscano che l'età debba essere l'unico fattore che determina l'allocazione delle risorse, riconoscono che potrebbe essere necessario fissare un limite di età per l'ammissione in terapia intensiva". "Spiegando la logica delle raccomandazioni, Vergano descrive quanto sia difficile per i fragili e gli anziani sopravvivere alla prolungata intubazione richiesta per riprendersi dalla polmonite correlata a Covid-19. Per quanto atroce sia da ammettere, circa una settimana dopo il picco dell'epidemia, è diventato chiaro che i pazienti ventilati con poche chance di sopravvivere equivalgono a negare il supporto ventilatorio a molti che invece hanno possibilità di uscirne. Ma anche nelle circostanze più negative, il razionamento spesso è meglio tollerato se fatto in silenzio. E in effetti, queste linee guide sono state ampiamente criticate".

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