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Palazzi & potere
Genova, Il No alle grandi opere nasce a sinistra ed è finito nell'M5s
LaPresse

Il M5s, che è al potere da tre mesi, avrà, temo, delle grandi responsabilità sull'immediato futuro dell'Italia ma non può certo essere considerato responsabile (se non come movimento di opposizione che, in passato, avrebbe dovuto essere contrastato, anziché vellicato, dai governi precedenti), l'M5s, dicevo, non può essere considerato responsabile del blocco delle grandi opere pubbliche (che adesso hanno portato anche al crollo del ponte Morandi di Genova). Né l'M5s, scrive Pierluigi Mgnaschi su Italia Oggi, può essere considerato responsabile del mastodontico debito pubblico, di una fiscalità rapace e squilibrata, di una legislazione incomprensibile e terrorizzante per chi deve attuarla, di enti locali intasati di personale, di un welfare generosamente squilibrato, di una sanità boccheggiante, di un Sud sgovernato. Tutte queste storture che, assieme, sono diventate esiziali per l'Italia, sono infatti il risultato drammatico di altre maggioranze politiche, quelle di sinistra e di centrodestra, che, nel loro complesso, hanno messo il paese nell'angolo. Se non si fa questa constatazione non si riesce nemmeno a capire come agire per poter uscire dal drammatico cul de sac nel quale si trova l'Italia, oggi.

La cultura del «piccolo è bello» e del no pregiudiziale a tutti gli investimenti importanti in opere pubbliche che, fino ad ora, sono state definite, troppo spesso come «cattedrali nel deserto» è sicuramente dovuta anche all'eredità vetero-cattolica tipo Albero degli zoccoli di Ermanno Olmi ma è soprattutto il parto imbarazzante dell'ideologia del bricolage che ha a lungo ispirato i comportamenti e le chiusure della sinistra italiana e che, solo in questi ultimi tempi, sono diventati pilastri dei pentastellati che però, essendo andati al potere solo adesso, non sono certo responsabili, ripeto, di ciò che è avvenuto in passato ma, se non saranno contrastati (ma non si vede come, per il momento), faranno danni, e colossali, solo in futuro.

Per capire i guasti che ha prodotto questo vetero-approccio della sinistra alle grandi infrastrutture, basti pensare che a Milano, quando il pentapartito decise, nel primo dopoguerra, di cominciare a fare la prima linea di metropolitana, si trovò davanti al corale fuoco di sbarramento della sinistra allora comunista che sosteneva che la metropolitana è una struttura che beneficia solo i ricchi e la borghesia mentre i tram sono il mezzo ideale per i ceti operai. Da qui il demente slogan-programma: stop alla metropolitana e sì ai tram. Un'affermazione incredibile, questa, che oggi farebbe diventare rossi dalla vergogna, dalla faccia ai piedi, chi la sostenesse (salvo i pentastellati, si intende).

La sinistra comunista italiana, potente ma anche provinciale e folcloristica, cercava di impedire la realizzazione di una infrastruttura (la metropolitana) che era addirittura in ritardo di cent'anni su quelle realizzate in tutte le grandi città del mondo, compresa Mosca. Per la fortuna di chi oggi vive nel capoluogo lombardo, la visione della sinistra meneghina fu efficacemente contestata e contrastata dall'alleanza di centro, per cui soprattutto per questo, oggi, Milano è la città di gran lunga più moderna e attrattiva d'Italia. Una città che, non a caso, crea a ritmo intenso un sacco di posti di lavoro qualificati e spesso anche iperqualificati.

Lo stesso copione si è ripetuto per i grattacieli di Milano. Nei primi anni del dopoguerra le amministrazioni meneghine del pentapartito centrista avevano visto giusto puntando sulla realizzazione dei grattacieli mentre la sinistra milanese di allora si batteva, sempre in omaggio al suo vetusto e conservatore bagaglio ideologico (e quindi prevenuto), per la difesa delle case popolari di ringhiera. In quegli anni furono costruiti, fra gli altri, i grattacieli Galfa, Torre Velasca e Pirelli. I dc e i loro alleati di allora avevano fatto la scelta giusta («sì ai grattacieli») ma, in quanto dc, si erano anche posto un vincolo, oggi ridicolo. E cioè che, in omaggio alla richiesta del Vescovado, le nuove costruzioni non avrebbero potuto superare in altezza la Madonnina, cioè la statua dorata che si trova sulla guglia più alta del Duomo. Sennonché Giò Ponti, il progettista del bellissimo grattacielo Pirelli (c'è chi dice per sbaglio e chi invece sostiene che sia stata una sua scelta) realizzò una torre che, sia pure di pochi metri, superava in altezza la Madonnina. Lo sfregio fu sanato mettendo poi sul tetto del Pirelli una statua della Madonnina per ristabilire una supremazia edilizia allora ritenuta importante.

In quegli anni, sempre in base alla visione lungimirante (anche se ovvia) delle amministrazioni centriste di Milano, fu scelta un'aria strategica, quella delle Varesine, per far lì sorgere i grattacieli di Milano. L'area era strategica perché si collocava fra due grandi stazioni di testa (la Centrale e la Garibaldi), era destinata a essere servita da una linea metropolitana e si trovava su una zona urbanisticamente libera perché era stata rasa al suolo dai bombardamenti della seconda guerra mondiale. Ma per quasi mezzo secolo, a causa dell'opposizione di sinistra, non contrastata dai sempre più impauriti partiti centristi localmente al potere, quell'area centralissima e strategica anziché essere popolata dai grattacieli che sono stati realizzati solo in questo secolo, venne lasciata incolta, a disposizione dei luna park di passaggio, delle numerosissime pantegane, delle prostitute prima e poi dei viados, nonché dei tossici.

Quell'area, rompendo un tabù che sino a quel momento era considerato insuperabile, fu finalmente destinata agli attuali grattacieli per merito del sindaco Gabriele Albertini (un vero e proprio gigante politico per la città di Milano; uno che ha saputo assumersi le sue responsabilità, usando la maggioranza di cui disponeva per realizzare le sue idee e per contrastare quelle permanentemente frenanti della sua opposizione). Per un vero paradosso i grattacieli di CityLife, che sono stati inevitabilmente completati successivamente, sono stati attribuiti alla successiva maggioranza di sinistra che, dopo averli lungamente contrastati, li ha mediaticamente scippati a chi li avrà voluti e resi possibili.

Se oggi Milano è diventata una metropoli smart, che attrae come una calamita gli investimenti internazionali, ciò non lo si deve ad Expo, come dicono tutti, ma a questo suo nuovo profilo di città urbanisticamente moderna con gli inevitabili grattacieli e una rete (non una linea) metropolitana che la rende usufruibile a tutti. La rete metropolitana al posto della semplice linea è un'altra scelta di Albertini che, tanto per fare un altro esempio, ha sventrato e rinnovato la Scala (costruendo il teatro Arcimboldi che durante i lavori ha rimpiazzato la Scala e che, dopo, ha arricchito il patrimonio teatrale milanese). Ebbene, anche per questa sua provvidenziale decisione, Albertini, per iniziativa di un consigliere comunale di sinistra, un Pd che è poi diventato sottosegretario (con, al seguito, tutto il suo gruppo consiliare), venne addirittura denunciato alla procura.

Se questo no pregiudiziale alle grandi opere pubbliche (che poi sono quelle che consentono di non strozzare il paese, anzi sono quelle che lo fanno decollare) è stato imposto dalla sinistra a Milano, che è espressione dell'area più avanzata del paese, si capisce facilmente come mai questo freno abbia potentemente agito nel resto del paese che inevitabilmente è meno dotato di anticorpi contro la decrescita che, in barba a ciò che si dice, non è mai felice per nessuno.

Da qui, ad esempio, il no all'Autostrada del Sole (in base alle slogan che questa infrastruttura strategica serviva solo ad Agnelli), il no sistematico a tutte le altre autostrade realizzate successivamente (ve la immaginate come sarebbe l'Italia senza autostrade?), il no all'Alta velocità ferroviaria (la cui realizzazione fu agevolata anche dal fatto di essere stata ribattezzata, a un certo punto, come «alta capacità ferroviaria»; così come i grattacieli vennero approvati con minore difficoltà quando vennero chiamati «torri») e infine, tra i molti altri no, anche il no alla circonvallazione autostradale di Genova (che, per complicare la sua comprensione, non si sa perché sia stata denominata Gronda). Questa circonvallazione avrebbe considerevolmente ridotto la pressione del traffico, anche pesante, sul viadotto Morandi, traffico che aveva superato di tre volte il massimo previsto nella sua progettazione. Il viadotto Morandi è crollato anche per questo motivo. Questa circonvallazione invece è stata bocciata dalle giunte genovesi di sinistra per ben cinque successivi progetti che peraltro erano anche stati debitamente finanziati. C'era l'idea, c'erano i progetti, c'erano i soldi per realizzare questa circonvallazione che avrebbe ridotto la morsa del traffico su Genova, ma le giunte di sinistra li hanno bloccati.

E così è a lungo successo anche per la linea ferroviaria Genova-Ovada che, proposta nei primi anni Settanta dal Cerved di Alessandria, avrebbe consentito di sparare sui binari i container approdati per nave a Genova e inevitabilmente intasati su una costa ridottissima come spazio disponibile, verso una immensa area di interscambio oltre l'Appennino, al servizio dell'intera area settentrionale e centroeuropea grazie anche al nuovo traforo realizzato dalla Svizzera, un paese dove i no Tav non sanno nemmeno che cosa sono, visto che esso bada all'interesse dei suoi cittadini .

E tutti questi no, oltre che a contribuire al crollo del viadotto Morandi, hanno finito per paralizzare Genova che sta morendo anche se gode di una straordinaria tradizione marittima - un brand pazzesco - e di una posizione assolutamente strategia nel Mediterraneo. Diamoci quindi una mossa. Mandiamo in soffitta il pensiero (e l'azione) debole. Piccolo non è sempre bello. Anzi, oggi, di piccolo si muore. Volendo, si può anche nuotare contro corrente ma, prima o poi, le forze vengono a meno. E allora si muore.

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