Palazzi & potere
Lookout Inside/Afghanistan, passo indietro di Obama
Lookout Inside/Afghanistan, passo indietro di Obama. Una questione che riguarda anche l’Italia
I numeri forniti da Barack Obama sull’avanzamento dell’exit strategy americana dall’Afghanistan ormai non fanno quasi più notizia. Per l’ennesima volta il presidente degli Stati Uniti è tornato sui suoi passi rimangiandosi la road map tracciata sul finire del 2014 e presentando un nuovo piano d’azione che però difficilmente contribuirà a migliorare lo stato della sicurezza in un Paese perennemente in balia della minaccia talebana. Per la cronaca nel 2017, quando da gennaio Obama terminerà il suo secondo e ultimo mandato da presidente, dagli attuali 9.800 militari attualmente dispiegati in Afghanistan si passerà a 8.400 e non a 5.550 come era stato inizialmente stabilito.
Iniziato nel 2001 dopo gli attacchi alle Torri Gemelle dell’11 settembre, l’intervento militare americano in Afghanistan è dunque destinato a protrarsi molto più a lungo del previsto. E il bilancio dei soldati statunitensi uccisi - 2.300 negli ultimi quindici anni - potrebbe farsi ancora più tragico.
In attesa di conoscere quale direzione prenderanno gli USA in Afghanistan quando ci sarà un nuovo inquilino alla Casa Bianca, sono altre potenze a incidere in maniera molto più influente sul Paese. I servizi segreti più attivi sono quelli del Pakistan. Dal momento in cui, lo scorso 25 maggio, Haibatullah Akhundzada ha assunto la guida dei talebani, il potente servizio segreto pakistano ISI (Inter-Services Intelligence) ha gradualmente ristabilito i contatti con i vertici dell’organizzazione. Quetta, situata nella provincia pakistana sud-occidentale del Baluchistan, è tornata a essere il centro delle attività dei talebani. Secondo fonti di intelligence accreditate, il leader Akhundzada vivrebbe a Kuchlak, a nord di Quetta, e molti uomini di vertice dell’organizzazione risiederebbero nell’area in cui si trova il campo profughi di Surkhab.
Anche se il Pakistan appare al momento padrone assoluto della situazione, è verosimile che nei prossimi mesi Russia e soprattutto Iran cercheranno di avvicinare Haibatullah Akhundzada e stabilire una relazione con lui. È in questa fitta rete di contatti e accordi segreti che si decide il futuro dell’intera regione dell’AF-PAK. Piuttosto che badare ai rapporti con il debole governo del presidente afghano Ashraf Ghani, è questa zona grigia che gli USA dovrebbero tentare di penetrare. Altrimenti l’exit strategy dall’Afghanistan, se e quando si concluderà, si confermerà come una delle pagine più buie della politica estera americana degli ultimi vent’anni.
Si tratta di una questione che interessa direttamente anche l’Italia. In Afghanistan le nostre forze armate impiegano uno dei contingenti più numerosi (secondo solo all’Iraq) sebbene alla fine nel 2014 sia iniziato il lento ritiro del contingente ISAF (International Security Assistance Force) della NATO. Tra Kabul ed Herat sono operativi 950 nostri militari con compiti di addestramento nell’ambito della nuova missione Resolute Support. L’Italia ha infatti accolto la richiesta degli Stati Uniti di mantenere ancora per alcuni mesi le proprie truppe in Afghanistan oltre il termine previsto dell’ottobre 2015. Adesso che Obama ha cambiato nuovamente le carte in tavola, il nostro governo potrebbe doversi adeguare ancora una volta alle scelte di Washington. Ma siamo sicuri che questo impegno sia ancora prioritario per gli interessi del nostro Paese?
Rocco Bellantone