Palazzi & potere
Malagò perde milioni di euro col nuovo stadio della Roma, ma lui punta al CIO

Per il dopo Malagò in pole position Binaghi attuale capo del tennis italiano
L'unico a non festeggiare, venerdì scorso, appena ufficializzato l'accordo tra comune di Roma e AS Roma è stato Giovanni Malagò, presidente del CONI. Apparso sì e no, in modo molto timido, nelle dichiarazioni dei giorni successivi. Endorsement di facciata ma niente di più. Il motivo è semplice: la Roma gioca allo stadio Olimpico (un contratto da 3 milioni di euro annui per 30 gare, poi per ogni match aggiuntivo paga oltre 70 mila euro). Praticamente un "signor" cliente per l'ente pubblico, così come anche la SS Lazio di Claudio Lotito, ma il patron biancoceleste deve ancora iniziare a muoversi, quindi il club e i suoi sogni da stadio sono il problema minore.
L'american dream di James Pallotta (presidente dell'AS Roma), invece, se dovesse avverarsi, come promette l'imprenditore di Boston, entro la stagione 2019/2020, diventerebbe un bel problema, perché, in un secondo netto, i 3 milioni di euro giallorossi uscirebbero dalle casse CONI, per entrare in quelle della Roma o quantomeno della società gestita da Pallotta e da Luca Parnasi (il costruttore del nuovo stadio di Tor di valle). Con meno 3 milioni il CONI difficilmente andrebbe in utile a fine anno (non una bella notizia per il MEF del futuro ministro dell'Economia e Finanze) e soprattutto lo stadio Olimpico diventerebbe una landa desolata. Giusto i laziali ci giocherebbero, ma con l'occhio rivolto anche loro al progetto del nuovo stadio delle Aquile (magari sui terreni della Tiberina di Lotito).
Certo il CONI potrebbe decidere di mettere in campo altri eventi, ma non è così facile e poi anche i costi di affitto dell'impianto non sono così "cheep" per dirla all'americana (anche se quest'anno sbarcheranno U2 e Depeche Mode).
Insomma l'Olimpico può diventare un problema reale oltre che gestionale, ma alla fine Malagò che ne pensa una più del diavolo, ha già l'exit strategy: al massimo farà altri due mandati, quindi 8 anni. Siamo certi al mille per mille, che lo stadio di Tor di Valle sarà pronto entro il 2025? Ne abbiamo qualche dubbio, conoscendo la burocrazia e in meno di quattro anni abbiamo avuto tre diversi sindaci di tre diverse composizioni politiche.
Tradotto: Malagò resterà presidente CONI fino al 2024, poi sceglierà, in stile Montezemolo altri lidi (il più chic è quello di membro CIO, deve solo aspettare che Mario Pescante nel 2018 se ne vada in pensione ed esca dal CIO come membro di diritto, poi l'ex proprietario di Samocar si sposterà da Roma a Losanna. Se poi il CONI, fra otto anni, si troverà il "bubbone" dell'Olimpico, sarà un problema del nuovo presidente del CONI (si parla già di Binaghi presidente Federtennis in pole position); lui se ne sarà uscito alla grande e lascerà il cerino in mano al prossimo numero uno dell'ente. Sempre però che esista ancora il CONI, visto che i 5stelle sono pronti in caso di vittoria nel 2018 ad un clamoroso riordino nel segno di una "decrescita felice" anche dello sport italiano.
Alla fine Malagò ne uscirà da vincitore. Tutto calcolato, tutto previsto e come ama dire nei corridoi di Palazzo H: "Va alla grandissima!". Anche perché il prossimo 11 maggio (schede bianche a parte) verrà rieletto per il secondo mandato consecutivo, dopo aver annientato tutti gli ex amici di Gianni Petrucci e Lello Pagnozzi, suoi avversari nella prima elezione del febbraio 2013.