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Politica
Quel comunista di Maigret che poteva diventare sindaco di Torino

Domenico Carpanini: a 20 anni dalla morte del vice-sindaco, la città di Torino non lo ha mai dimenticato

“Siamo disponibili a discutere in qualsiasi sede, ma della nostra politica e della nostra azione di governo, e vi diciamo subito che in questa discussione non consentiremo a nessuno di cucirci addosso qualcuna delle due caricature che a molti piacerebbe poterci cucire: o la caricatura di presentarci come immobilisti, come persone che non sanno aprirsi al nuovo, che non sanno prendere atto di quanto cambia nella società italiana o la caricatura opposta, quello che Novelli chiamava di un pragmatismo senza principi, di una assenza di coordinate e di direttrici, di un’autocritica che rasenterebbe, e questo, credeteci, non ci date nessuna ragione perché possa avvenire mai, il riconoscere meriti di forze che certi meriti non possono accampare. Siamo disponibili a discutere le nostre posizioni ma non riuscirete a schiacciarci su alcuna di queste due caricature. La nostra posizione, lo abbiamo ribadito in molte occasioni, è quella di una elevata sintesi fra la continuità della nostra ispirazione strategica e il rinnovamento reso necessario da quanto è cambiato nella società torinese”.

Uno che parla così, potrebbe addirittura candidarsi alle prossime elezioni come sindaco di Torino. Non vorrei sbilanciarmi troppo, ma potrebbe persino vincerle. Uno di cui si sente davvero bisogno, sempre disponibile, capace di intervenire a ogni emergenza, profondo conoscitore di ogni scorcio di questa città, un po’ burbero all’apparenza e un po’ Maigret per via del baffo d’ordinanza, uno che azzarda concetti di questo tipo: “Noi ragioniamo su una scala temporale un po’ più lunga di sei mesi e riteniamo che Torino possa avere le energie e le risorse per attivare la trasformazione di una pluralità di centri, ed allora una diversa concezione del riequilibrio è anche uno sforzo grande perché tutto quanto vi è all’interno della crisi, di fermenti vitali, di possibilità di trasformazione, venga pienamente colto, sapendo che la via di uscita dalla crisi per Torino è una via in gran parte extra-urbanistica. Dipende soprattutto dalla politica economica, dai problemi del rilancio di un’accumulazione che certo nessuno può pensare di rilanciare sul piano immobiliare e fondiario: e qui vi sarebbero responsabilità più grandi da chiamare in causa, ci sarebbe da dire, prima di fare paragoni incauti fra Torino e Milano, che fra Milano e Torino non ci sono soltanto differenze di politica urbanistica, ci sono altre risorse che scendono in campo, c’è una pluralità di soggetti economici, una politica economica del Governo che guarda in modo diverso alla Lombardia e a Milano, rispetto al Piemonte”.

Se sei di Torino e stai pensando seriamente di votarlo, lascia stare. Certamente vincerebbe a mani basse, se solo fosse ancora vivo. Eh sì, perché queste parole sono di Domenico Carpanini e risalgono a un suo discorso sulla politica urbanistica in consiglio comunale del 30 ottobre 1984.
Morì improvvisamente, dopo un sorriso e un bicchier d’acqua, a 47 anni il 28 febbraio 2001, durante un confronto pubblico all’Associazione dei commercianti, come candidato Sindaco per l’Ulivo. Lo scorso 9 luglio avrebbe compiuto 68 anni. Una sorte beffarda che lo accomuna a un altro leader della sinistra italiana, Enrico Berlinguer, con il quale condivideva una militanza politica, tra le file del Pci, fin da ragazzo. In realtà, chi ha conosciuto Carpanazzo, come lo chiamava l’ex sindaco Diego Novelli, sostiene che non è mai sembrato un adolescente, anche quando frequentava il Liceo-ginnasio Cavour a Torino. Già allora era un falso magro con taglio di capelli, baffi e abiti da rispettabile quarantenne sovrappeso e un futuro scritto da sindaco di Torino. Ma il destino, si sa, è cinico e baro, soprattutto con i galantuomini. A questo punto del racconto mi viene la brillante idea di raccogliere un pensiero del candidato sindaco per il Centrosinistra, il geologo della politica torinese, Stefano Lo Russo. Dopo qualche scambio di messaggi, mi risponde gentilmente il suo portavoce Ivan Notarangelo.

“È morto vent’anni fa, nel salone dell’associazione dei commercianti, l’Ascom di via Massena, è morto sul campo, Domenico Carpanini mentre parlava di politica, di Torino, di come avrebbe voluto governare una città alle prese con profonde trasformazioni. Ieri come oggi” dice Lo Russo. “Torino non lo ha dimenticato. A luglio avrebbe compiuto 68 anni e sono state tante le manifestazioni di stima e affetto. Manca a molti. Il suo rigore, il suo essere puntiglioso. Non facevo politica attiva allora, ma ero un attento osservatore di cosa accadeva in città. Il suo era un modello di passione, impegno e amore per Torino. Era evidente a tutti. Per me rimane l’esempio di un amministratore capace, con una solida cultura amministrativa accompagnata dalla profonda conoscenza della città”.

In effetti, parliamo di un omone con vent’anni sulle spalle da consigliere comunale e che da vicesindaco, negli anni Novanta, sotto la Giunta Castellani, già si occupava di fenomeni migratori, provando a conciliare sicurezza e multiculturalità a Torino. Questioni che, sappiamo bene, da allora sono state affrontate e superate brillantemente. In un’altra dimensione spazio-temporale, non certo a Torino. Vorrei, però, tranquillizzare gli attuali candidati alla poltrona di sindaco, giustamente preoccupati dal “fuoco amico”: nemmeno Carpanini ne fu esente. Occupandosi di ordine pubblico si era attirato qualche meschinità dai compagni più “comu”, così li chiamava lui, che l’avevano soprannominato “sceriffo”. La sua candidatura fu criticata e suscitò più di una perplessità all’epoca, dentro e tutto intorno al suo partito. Incredibile, vero? Una cosa che non si riesce proprio a immaginare oggi.

Nonostante questo, Carpanazzo aveva costruito una fortissima connessione con tutta la città nei suoi trentadue anni di politica sul campo. Un legame popolare che si sarebbe trasformato in un ponte tra elettorati diversi per un consenso più ampio rispetto alla comunità elettorale del centrosinistra. Lo si intuisce da quello che avvenne ai suoi funerali, davanti a Palazzo Civico, dove si riunì una folla di amici e compagni di partito, ma anche di tanti torinesi anonimi che vollero dare un ultimo saluto al sindaco perduto di Torino, ucciso dalla politica e dalle sigarette. Il destino ha voluto che nel 2002, non so quanto consapevolmente della simbologia, la Città gli abbia voluto intitolare l’unico ponte mobile della città, il Ponte Carpanini, che sorge sulla Dora Riparia, nel quartiere Aurora, e collega piazza Borgo Dora con corso Vercelli. Dopo la sua morte fu chiamato a sostituirlo Sergio Chiamparino, che vinse le elezioni contro il candidato di centrodestra al ballottaggio con il 52,8 per cento dei voti, ma questa è tutta un’altra storia.

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