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Politica

Siamo già oltre i tre squilli di tromba. La campagna elettorale è partita a sciabole sguainate e per almeno sei mesi la politica fa la sua guerra in un bicchier d’acqua, con gli italiani spettatori, il Paese nel tunnel. Fra due mesi si vota in Sicilia e Matteo Renzi, dato il possibile flop del Pd, mette le mani avanti: “Non sono uno stress test per le elezioni nazionali”. Di contro, Massimo D’Alema aprendo la campagna di Fava ribatte: “Nessuna intesa col Pd che ha scelto Alfano”.

E’ la guerra di trincea dei “fratelli coltelli”, per uno scampolo di effimera gloria nella storia minore, per un tozzo di pane o per una poltrona, fa lo stesso. Risultato? La seconda regione d’Italia già sbrindellata, contesa fra centrodestra resuscitato dal miraggio di un nuovo potere e M5S outsider, sinistra out. Una sconfitta annunciata sia per il Partito democratico che per la costellazione alla sua sinistra. Renzi e i suoi, da una parte, e l’articolato fronte degli anti piddi, dall’altra, hanno un solo obiettivo: la sconfitta reciproca. Soprattutto per questo il voto in Sicilia rappresenta un test per le elezioni politiche di primavera, con le varie formazioni della sinistra, dal Pd alle frange più radicali, l’una contro le altre armate, decise a farsi del male: mors tua vita mea. Poi, dopo la batosta, anzi dopo le batoste, si rimpalleranno le colpe.

La storia si ripete: in sostanza fu così di fronte al nascente fascismo, fu così di fronte alla Democrazia Cristiana, fu così di fronte a Tangentopoli e alla discesa in campo di Silvio Berlusconi e persino di fronte al “vaffa” antipolitico grillino. Lacerazioni interne a tutti i livelli, antiche e nuove, di ampia e profonda natura, dai nodi ideologici e politici a beghe personali e di potere, guerriglie infinite che nella base e negli elettori creano delusione, sconcerto, disorientamento togliendo ogni credibilità a chi proclama di voler salvare una Nazione ricucendo un tessuto sociale e politico lacerato  mentre non sa neppure governare la propria casa e non sa tenere i suoi sotto lo stesso tetto. Così il cittadino non solo non sa più qual è il confine fra destra e sinistra ma s’infila nella scorciatoia del “tutti uguali” abbandonando il campo dell’impegno politico fino all’astensione dal voto.

Per altro un “tutti uguali” non frutto di esasperato qualunquismo ma basato sulla realtà, con una crisi generale profonda che evidenza ancor di più l’inadeguatezza dell’attuale classe politica, incapace persino di uno scatto d’orgoglio per arginare il populismo e l’antipolitica, di contrastare quel “partito dell’odio”, mai sazio, alla fine pronto a divorare anche chi lo ha alimentato e cavalcato. “Siamo alla rottura del sistema dei partiti – ammonisce il 90enne ex Pci Emanuele Macaluso -  con la sinistra nel suo momento più basso. Un bracciante aveva una cultura politica più alta di quella che oggi ha un dirigente del Pd”. Parole come pietre. Anche se quel bracciante siciliano, così come l’operaio e l’artigiano emiliano e torinese seguirono ingabbiati dal “centralismo democratico” la linea di un partito nato da una scissione rovinosa che voleva fare “in Italia come in Russia”, una teorica via nazionale al socialismo togliattiana fra luci e ombre, cercando in un mal digerito “compromesso storico” berlingueriano la risposta alla “conventio ad exludendum” per quella agognata ma mai raggiunta stanza dei bottoni, rimasti alla fine orfani di quel partito e dei suoi ideali politicamente e storicamente falliti.

Quei nodi mai sciolti, quelle risposte mai date, fra illusioni ridotte a fuochi di paglia, hanno portato a questa sinistra sbandata e senza anima, a questo Pd né carne né pesce, a questo sistema politico autoreferenziale, di furbetti e furboni, di incapaci e arrivisti.La campagna elettorale siciliana, impostata e gestita dai leader nazionali, dimostra quanto poco o nulla contino i programmi, le proposte, le alleanze utili non solo a cercare consensi ma a risolvere i gravi problemi quotidiani della gente. E’ vero: con il proporzionale (sarà con questo sistema che si voterà per le politiche) il tema delle alleanze viene dopo il voto.

Ma la sinistra tutta brancola nel buio rispetto ai programmi e alla leadership da proporre agli italiani. Forse peggio. Per i fuoriusciti del Pd (e i loro vicini di condominio) tutto si riduce a fare e a volere l’opposto di quel che fa e vuole il partito di Renzi. Con Matteo in campo, nessun dialogo, nessun percorso insieme, niente di niente. Di fatto, nostalgici su una zattera alla deriva della storia, fuori dai grandi giochi politici, meno quelli che riguarderanno poltrone e strapuntini.  Per il Partito democratico, passata la botta che subirà in Sicilia, Renzi riproporrà se stesso e la sua linea, pari pari. Un disastro elettorale annunciato con l’unico sbocco possibile di una maggioranza “anomala”,  un centro-sinistra (si fa per dire) che partorisce il governissimo Renzi-Berlusconi, con Matteo premier e il Cav “burattinaio” a tirar fili e raccoglierne i frutti.

A Gentiloni e a Minniti piacendo. Il primo è uomo da sagrestia, mai sgomitando, caso mai facendosi chiamare (più di una volta) pronto quale “umile servitore” del partito e dello Stato. Il secondo era e resta comunista d’ordine per dare ordini, uomo d’attualità specie per il bubbone dei migranti: amato da pochi e odiato da molti, leader sì, ma da elettorato minoritario. Allora? Si rischia un voto inutile. Incapace cioè di formare una maggioranza per un esecutivo purchessia. E il gioco ricomincia. Ma è il gioco dell’oca. Berlusconi gode. Anche Matteo?

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