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Politica
“Riforma del Mes? Una sospensione del processo di revisione è puro buon senso”

Rimane in salita il percorso per la riforma del Mes. Almeno a vederlo dall’Italia. In attesa dell’informativa del titolare del Mef Roberto Gualtieri, cui spetta già il prossimo 30 novembre il compito di dare eventualmente il via libera alla revisione del Trattato nel corso della riunione Ecofin, a sbarrarle la strada ci pensa il deputato di Liberi e uguali, già viceministro dell’Economia nel governo Letta, Stefano Fassina. Intervistato da Affaritaliani.it, è netto nell’asserire che “chiedere una sospensione del processo di revisione del Mes è semplice buon senso”. Secondo Fassina, inoltre, non serve porre nessun veto: “Basterebbe che l’Italia invitasse i partner dell’Eurozona a una riflessione. Così come è stata definita una pausa per le regole del Patto di stabilità o per la normativa sugli aiuti di Stato”.

Fassina, perché questa riforma del Meccanismo europeo di stabilità non la convince, proprio ora che sta arrivando a una tappa decisiva in Ue?
Perché occorre fare un’analisi del quadro macroeconomico e di finanza pubblica nel quale ci troviamo. Un quadro completamente diverso da un anno fa. Oggi siamo in un’altra era geologica rispetto alla fase pre-Covid. La revisione del Mes è stata predisposta prima della pandemia e, quindi, rende più rischioso un debito pubblico elevato.

Per quale ragione?
E’ semplice: perché condiziona l’intervento di soccorso alla ristrutturazione del debito. Un Paese come l’Italia verrebbe escluso dalla linea di credito precauzionale e anche dalla seconda linea di credito, dato il livello di debito cui saremo arrivati a fine anno e cioè sopra il 160 per cento del Pil. Questo ragionamento valeva già con un debito al 130 per cento del Pil, figuriamoci ora. L’intervento da parte del Mes, insomma, presupporrebbe una ristrutturazione del debito, in base alla normativa. Senza contare, inoltre, il messaggio ai mercati che avrebbe un riflesso inevitabilmente sui tassi d’interesse.

Cosa propone di fare, allora?
L’Italia dovrebbe invitare i partner dell’Eurozona a una riflessione, a uno stop. E, quindi, a un’analisi approfondita.

Tradotto: dovrebbe porre il veto?
No, invitare a una pausa. Come si è definita una pausa per le regole del Patto stabilità o per la normativa sugli aiuti di Stato, serve una pausa anche rispetto alla revisione del Mes. In modo da poter costruire uno strumento adeguato al momento in cui ci troviamo. Segnalo, tra l’altro, che dieci giorni fa l’Istituto Delors di Berlino ha pubblicato un paper che dettaglia le ragioni per le quali non funziona la revisione del Mes definita prima del Covid, proponendo di spostare le risorse versate e autorizzate a livello comunitario, come garanzie per le emissioni di titoli europei.

Non teme che la sua possa essere una posizione isolata?
Queste posizioni dell’Istituto Delors sono state raccolte, per fare un esempio, sia da David Sassoli, non proprio un pericoloso sovranista, e sia da Enrico Letta. Chiedere una sospensione del processo di revisione del Mes è semplice buon senso. Occorre per potere fare una ricognizione e rivalutazione di quanto è necessario alla fase attuale, drammaticamente distante da quella di un anno fa.

Non lascia nessuna porta aperta, dunque, a Gualtieri e alle rassicurazioni che potrà dare al Parlamento nel corso della sua informativa?
Il testo della discussione dell’Eurogruppo lo conosciamo. Così come conosciamo lo stato d’avanzamento del backstop bancario. Quindi, ascolteremo con attenzione il ministro, ma non ci sono novità sulle quali essere edotti. Non è cambiato nulla. Quello che è profondamente diverso è il contesto economico e di finanza pubblica. Mi permetto di sottolineare un aspetto importante.

Prego.
Io non sottovaluterei che un istituto che risiede a Berlino, con una impostazione profondamente europeista, pubblica un paper proprio alla vigilia della riunione dell’Eurogruppo con un messaggio molto chiaro. Non sottovaluterei, inoltre, che una persona equilibrata e certamente non sospettata di antieuropeismo come Sassoli, ma il discorso vale anche per Letta, fa sue quelle analisi. Sa qual è la verità?

No, qual è?
Che si mette ancora più in pericolo l’interesse nazionale con la ratifica da parte dell’Italia di un Mes che aggrava i rischi di ristrutturazione del debito.

Lei è fermamente contrario pure all’utilizzo del Mes sanitario. Il ministro della Salute Speranza, che fa parte del suo stesso gruppo parlamentare, però, invoca quei 37 miliardi per dar vita a una grande stagione di investimenti nel Ssn. Come la mettiamo?
Il ministro chiede giustamente risorse e in questo anno ha avuto tutte le risorse che ha chiesto, non c’è mai stato un problema di fondi per gli interventi sulla pandemia. E comunque continua a ribadire che a lui interessa il finanziamento. E’ su questo che insiste.

A parte il Movimento cinque stelle, gli altri alleati di governo insistono sull’utilità del Mes sanitario e sul fatto che l’Italia debba aprire questa linea creditizia. Perché lei dice che non conviene?
Grazie alla Bce, che fa finalmente il mestiere che deve fare e cioè la banca centrale in una economia di guerra, noi vendiamo titoli di Stato a tassi d’interesse negativo che vengono acquistati dalla Banca d’Italia. Dunque, non esiste convenienza del Mes sanitario perché i tassi d’interesse di qualche decimale di punto più alto che paghiamo sui Btp a dieci anni ci rientrano come utili della Banca d’Italia, che acquista quei titoli che noi vendiamo. Non c’è, insomma, nessuna ragione economica per ricorrere a questo strumento. C’è, invece, una ragione politica che dovrebbe essere esplicitata.

Cosa vuol dire?
Che c’è una larga parte delle nostre classi dirigenti che ritiene necessario un vincolo esterno il più stringente possibile per andare avanti e dare una prospettiva al Paese. E’ una posizione legittima ma, ripeto, deve essere esplicitata.

E’ ciò che pensano per esempio nel Pd?
Lo fanno in tanti, da Guido Carli in poi. Solo che Carli ebbe il coraggio e l’onestà intellettuale di dirlo. Ecco, basterebbe che lo facessero tutti. Invece di assumere posizioni sempre più improbabili sul terreno tecnico che, poi, vengono appunto facilmente smontate.

 

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