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I Masochisti lo schiaffo di Losburla 'La nostra società è un’attenuante'

Cinico, politicamente scorretto e dissacrante. Così si potrebbe definire “I Masochisti”, il disco d’esordio di Losburla (al secolo Roberto Sburlati). Momenti vicini allo stoner rock alternati ad atmosfere più psichedeliche, dilatate e acustiche, con la produzione artistica di Luca Cognetti (Eskinzo, Marco Notari & Madam, Mambassa) ed affiancato in regia per i mix da Andrea Bergesio.

Losburla presenterà il suo disco d’esordio, accompagnato da Nicolas J Roncea (Io Monade Stanca, Roncea) alle chitarre e tastiere, domenica 19 Gennaio a Giovinazzo, all’Associazione Tressett, in occasione dei “Falò di Sant’Antonio”. Ne abbiamo approfittato per intervistarlo.

A proposito del tuo ultimo disco “I masochisti”, uscito per Libellula Music, hai dichiarato: "Ho voluto creare un disco che attraverso storie semplici assomigliasse il più possibile ad uno schiaffo in faccia. Di quegli schiaffi dati con rabbia ma a fin di bene, ad una persona che sta dormendo e deve svegliarsi". Ascoltando le dieci tracce dell’album sono diverse le tipologie umane che tratteggi con ironia: chi più di tutti vorresti (ri)svegliare dal torpore, chi sono “I masochisti”?

Losburla: “E’ molto difficile definire delle categorie umane senza esprimere un giudizio critico, che in questo caso sarebbe per forza di cose un giudizio negativo. Preferisco pensare che il primo masochista della lista sia io e, nonostante gli sforzi per migliorare, finisca per cadere nella trappola di certi comportamenti dannosi che descrivo nel mio disco. La società che viviamo è un’attenuante, ma i colpevoli siamo noi. Quindi vorrei risvegliare dal torpore me stesso e al contempo tutti, senza distinzioni. E’ l’unica idea di collettività “positiva” che mi viene in mente”.

losburla
 

Com’è nata l’idea della fotografia che fa da copertina al disco?

“Mi sono rivolto al mio amico fotografo Lorenzo Serra, gli ho detto come si sarebbe intitolato il disco e che avrei voluto da lui delle suggestioni che rievocassero il concetto di masochismo e l’ironia con cui ho cercato di sviluppare questo concetto. Mi fece vedere alcune foto, una raffigurava un uomo in Finlandia che si tuffa nudo in un lago ghiacciato. Ci piaceva quell’immagine e abbiamo deciso di contestualizzarla e legarla al disco. Quindi Torino, il fiume Po e al posto del finlandese io”.

Il racconto de “I masochisti” inizia con il capitolo de “L’imbucato”, la visione di un giovane non più giovane che racconta il limbo di una precarietà non solo reale ma anche emotiva. Sembrerebbe, se permetti il volo (non tanto) pindarico, il racconto tra qualche anno dei figli dei genitori protagonisti de “Il capitale umano” di Paolo Virzì.

“Mi trovi impreparato purtroppo, non ho ancora visto il film di Virzì. L’imbucato è una sorta di stanchezza divertita, quella rassegnazione “col sorriso sulle labbra” tipica di chi si chiama fuori. Un imbucato non è soltanto colui che non viene invitato alle feste, è quello che non fa niente per farsi invitare: non cerca empatia e non invita a sua volta. Ho cercato di allargare il raggio, non riferendomi alla festicciole ma alla vita, i sentimenti, la quotidianità”.

il capitale umano 3
 

In “Dilettanti”, dove parli di saltimbanchi del lavoro e della vita, la visione d’insieme si allarga e ti rivolgi a San Salvario, quartiere che tu stesso hai definito in una precedente intervista “vivace, colorato, multietnico”. A distanza di mesi dalla stesura di questa tua “preghiera” cos’è cambiato, oggi per cosa (e da cosa) dovremmo essere salvati?

“Ahimè non è cambiato nulla… vorrei essere salvato dalla Crisi, dal “Divertimento ad Ogni Costo”, dal musicista incazzato e rosicone con la critica sempre pronta e l’autocritica praticamente mai. Il fatto è che non c’è Santo che tenga, nessuno può sostituire noi stessi nel tentativo di cambiamento, nemmeno Il Santo Torinese della vita notturna può far nulla”.

“Regionale AT-TO” è disarmante nella sua rassegnazione (“La dignità non paga, la si cambia la si vende”). E subito dopo, grazie ad “Amaro”, non c’è spazio di manovra per incassare il colpo: messi all’angolo “subiamo” la rabbia delle tue parole con una piccola (falsa?) speranza finale, quella di fuggire. Cosa abbandoneresti dell’Italia che stiamo “vivendo” o della tua Torino, dove risiedi da una decina d’anni? Da cosa non scapperesti mai via?

“Tengo a precisare che nel pezzo la fuga è una falsissima speranza ed è una soluzione a cui non credo. Non voglio andare via dall’Italia e odio sia chi ripete come un mantra che bisogna andare via  e non lo fa e sia chi se n’è andato e critica chi è rimasto. La prima cosa che mi viene in mente di cui noi Italiani dovremmo liberarci è quella visione del mondo clientelare, furbetta e profondamente egoista che in qualche modo è nelle nostre ossa da troppo tempo, ci condiziona e parte dal voler passare davanti agli altri quando si è in coda dal panettiere, passa per la ricerca costante di una raccomandazione “perché tanto funziona così e bisogna adeguarsi” e finisce nelle schifezze della nostra classe politica, che tanto critichiamo ma alla quale assomigliamo terribilmente”.

La grande bellezza
 

Torniamo un’altra volta al cinema, se non ti spiace: “Moderno” è la traduzione in musica delle macchiette umane, per dirla alla Balzac, e del protagonista de “La grande bellezza” di Sorrentino. Chi sono questi ricchi che stringono i denti, che fanno “beneficenza per moda”?

“Ancora una volta, siamo noi. Che non arriviamo a fine mese ma non rinunciamo allo smartphone, alla bella tv e alla serata nel locale a 15 euro + consumazione. Un cassetto pieno di rate di finanziamento da pagare per 165 mesi e un bel fico d’india sul tavolo acquistato per sostenere la lotta a qualche malattia, così giusto per star bene con se stessi”.

Nella fase creativa de “I masochisti”, come nella vita di tutti i giorni, quale autore o quale film ti hanno anche indirettamente influenzato?

“Nel mio percorso mi sono capitati davanti diversi personaggi che hanno sostanzialmente cambiato la vita. Fabrizio de Andrè, i Pink Floyd, Nick Cave, De Gregori e Guccini, ma anche gli Afterhours e i Marlene Kuntz da ragazzo… e poi i libri di Bukowski (soprattutto le poesie), Ungaretti, Irvine Welsh, Nanni Moretti e Mario Monicelli. Senza affatto sottovalutare la cultura Pop, che alcuni amano definire trash o demenziale ma che non lo è affatto: Fantozzi, i film di Lino Banfi, Bud Spencer e Terence Hill… cose che mi fanno star bene!”.

charles bukowski
 

Già da bambino, a parte le arrampicate sul divano e il calcio, amavi ascoltare i 45 giri di tua madre: con quale musica sei cresciuto?

“All’epoca dei 45 giri ero un fan sfegatato dei Righeira, ma mi piacevano molte cose di mia madre, ricordo nitidamente di aver consumato “Si è spento il sole” di Celentano e “Diana” Di Paul Anka. Poi siamo passati alle musicassette e quindi i Queen dalla mattina alla sera. Poi Pink Floyd, i cantautori e tutte quelle belle persone citate prima”.

Cosa ti hanno dato, umanamente e musicalmente parlando, l’amicizia e gli anni di collaborazione con Marco Notari?

“Marco è un grande autore di canzoni e, soprattutto, una persona di rara intelligenza. Da lui ho imparato una cosa fondamentale, ovvero a vivere il mestiere di musicista serenamente, con onestà nei confronti degli altri e soprattutto di se stessi, godendosi tutte le soddisfazioni che questa grande passione sa darti, senza aspettarsi la luna in cambio e soprattutto senza invidie né risentimenti nei confronti di chi può esprimersi diversamente da te, ma di fatto fa il tuo stesso lavoro. Lui è così, e sono felice di lavorare con lui”.

Quali sono i tuoi prossimi progetti, dove potremo ascoltarti?

“Per adesso poche chiacchiere e tanti km. Siamo in tour e cercheremo di suonare in più posti possibili per tutto il 2014. Poi si vedrà! Ti sto parlando dalla Puglia, abbiamo suonato a Manduria e al Linea Gotica di Ferrandina e domenica dagli amici del Tressett di Giovinazzo”.

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