Il Papa guaranì - Silenzio, preghiera e fratellanza
Il vaste programme di Francesco

E’ arrivato da un finibus terrae tra i più lontani e più suggestivi. Da quell’arcipelago di barrio latinos che nell’altra parte del mondo si estende fino ai confini della Terra. Jorge Mario Bergoglio arriva dal Nuovo Mondo, ha ascendenti piemontesi sì, ma radici saldamente ramificate tra Buenos Aires e Santiago del Cile.
Una formazione e un habitat sempre accompagnati dal silenzio “pieno” degli spazi immensi, che sembrano non finiscano mai: quelli ventosi e luminosi della Patagonia argentina, che dalle Ande degradano fino all’Oceano Atlantico, e quelli rigidi e tempranti dei deserti d’altura della Puna, dove l’aria più rarefatta rende i colori più tersi e i contrasti più suggestivi.
Una vita tra laghi, valli e ghiacciai che, all’ombra della cordigliera delle Ande, diventano a poco a poco altipiani, steppe ed enormi estensioni desertiche verso il mare. Nella quotidianità di silenzi che si facevano colonna sonora di un’esistenza perennemente in cammino, tra moderne reducciones andine, in territorio guaranì, tra lama, gabbiani, laghi vulcanici e fenicotteri rosa. In un esercizio costante del respiro della preghiera, che compensava e leniva nello spirito la perdita prematura, in gioventù, di un polmone.
Una perseveranza nel “ritmo lento” dei pastori, per raggiungere – infine - la magnificenza fragorosa, impressionante e coinvolgente di Iguazù: le più spettacolari cascate del mondo, segno terreno più che tangibile di potenza naturale, che rimanda sguardi e pensieri immancabilmente al divino.
Un cammino non solo metaforico che, nobilmente povero tra i drammaticamente poveri, lo aveva
portato fino a Roma, a un soffio dal soglio pontificio, già nel 2005: quando insieme al cardinale Carlo Maria Martini si prodigò, con tempismo da “incontrista”, per far confluire i consensi diretti a lui sul futuro Benedetto XVI.
Non è dato sapere se il Papa emerito, mentre rifletteva sulle sue dimissioni, pensasse a una figura di successore che avesse i caratteri dell’Arcivescovo di Buenos Aires, ma certamente deve aver fatto riferimento allo scopo principe delle Missioni in America Latina della Compagnia di Gesù, nell’immaginare il tipo di intervento necessario a una Chiesa provata e da tempo reclinata su se stessa: creare una società civilizzata ed evangelizzata, con i benefici e le peculiarità della cosiddetta società cristiana europea, priva però dei vizi e degli aspetti negativi.
E così come la sua decisione a sorpresa, di “passare la mano”, non è stata certo frutto di improvvisazione, non è un caso che Benedetto XVI abbia affidato gli Esercizi spirituali di questa Quaresima, in vista del Conclave, al biblista Gianfranco Ravasi; e che questi abbia deciso di centrare la pratica istituita da S. Ignazio di Lojola (Padre fondatore della Compagnia di Gesù), sui temi del silenzio, della preghiera, della contemplazione, dell’incontro e del dialogo. I capisaldi dell’Apostolato di Martini nella lunga reggenza della Diocesi Ambrosiana.
Illuminante, alla luce delle prime parole e dei primi significativi atti del nuovo pontefice, l’armonia d’intenti con le riflessioni del cardinale Ravasi, che ha voluto scegliere il Salterio per esaltarne gli stimoli all’amore fraterno e le esortazioni alla comunità religiosa e all’umanità tutta: a ritrovare l’unità e la carità, superando divisioni, dissidi, carrierismi, gelosie. E la cui ultima meditazione, racchiusa nel breve salmo 133, diventa profetico inno alla gioia comunitaria: “Ecco quanto è buono e soave che i fratelli vivano insieme”.

Francesco è stato annunciato da una gabbianella, che il mondo intero ha visto appollaiata sul comignolo della Cappella Sistina, prima della fumata risolutiva. Un altro segno di una Chiesa che vuole tornare a volare alto e che, con lo scrittore cileno Luis Sepùlveda, potrebbe aver trovato il “gatto” capace di riportarla sul campanile per farle vincere ogni titubanza.
Nell’essenzialità di quel segno, il pensiero di tanti altri è andato, anche, al piccolo e anticonformista Gabbiano Jonathan, che riesce ad intravedere una nuova via da poter seguire, una via che allontana dalla banalità e dal vuoto di una precedente deriva. E comprende che, oltre che del cibo, un gabbiano vive "della luce e del calore del sole, vive del soffio del vento, delle onde spumeggianti del mare e della freschezza dell'aria”.
“Come vorrei una Chiesa povera e per i poveri”, ha detto Francesco, suscitando emozione e sentiti apprezzamenti. Un semplice e rivoluzionario auspicio, in cui sembra riecheggi ancora il riferimento all’amore fraterno trattato negli Esercizi spirituali, con la conclusione che Mons. Ravasi ha affidato all’immagine del Giordano: “C’è un aforisma giudaico che penso possa essere una bella conclusione della nostra riflessione sulla carità, sull’amore. Dice: la Terra Santa è segnata da due laghi, il primo è quello di Tiberiade che riceve e dona acqua al Giordano. Il secondo, invece, riceve soltanto, accumula e nulla dà: per questo si chiama Mar Morto”.
(gelormini@affaritaliani.it)