Marmone, La stirpe stravagante
Il libro in pescheria sa più di mare

L'ironia sottile e autoctona, nella sua spontanea espressività, accende lo sguardo e il sorriso di Dante Marmone, anche quando il bene amato artista barese cerca di assumere il contegno "semiserio" delle occasioni particolari, come può essere - in questo caso - la presentazione della sua opera prima letteraria: "La stirpe stravagante", edita da Caratteri Mobili - 2013 .
Un'occasione per raccontare la baresità attraverso aspetti, apparentemente caricaturali, che in realtà segnano i caratteri identitari di una comunità, che più o meno consapevolmente prova a salvaguardare un patrimonio di tradizioni messe a dura prova dalla crescita di una città ormai più "sul mare" che "di mare".

Una comunità e una città comunque bagnate, impastate, abbracciate, talvolta irretite, spesso stregate, ma quotidianamente ammaliate da un mare con l'orizzonte largo e i fondali poco profondi, che nelle terse giornate post-maestrale rivela la sua autentica vocazione geografica: essere ponte verso i Balcani e trampolino verso quel Levante da sempre foriero di croci e delizie per la sua gente, le sue passioni e la sua vena tipicamente commerciale.
Diventa quasi naturale e spregiudicatamente coraggiosa, allora, l'idea di voler presentare un libro che parla di questo controverso rapporto col mare, in una pescheria. Nella fattispecie quella di "Mimmo il marinaio" in via Melo a Bari, uno degli angoli più tipici e diffusi - insieme al tempio all'aperto di 'Nderr a la lanz - dove i profumi del mare fanno sintesi con i colori, i sapori e gli umori del suo pescato e dove si celebra, prima d'ogni altro luogo, la professione di fede verso la più tipica delle tradizioni baresi: gustare il "crudo".
Pertanto, la scelta per molti versi anch'essa “stravagante”, in linea con l'eccentrica ironia dell'autore, di presentare il libro in una pescheria è motivata dalla centralità del mare nel romanzo – protagonista indiscusso del racconto di Dante – e dei suoi frutti: da sempre alla base anche della cucina barese, con l'arcobaleno di sapori decisamente familiari.

“(…) e ogni giorno dovevano bere una sorsata di acqua di mare, per sancire il rapporto carnale con il loro elemento supremo, il dio Mare, che per la tribù rappresentava il destino: «Tutte ste scritte jinde all’onde du mare». Credevano infatti che il mare fosse contemporaneamente padre e madre dell’universo e creatore della vita sulla terra. C’erano anche dei minori, tutti legati al mare e ai suoi frutti: il dio Cannolicchio, protettore della virilità maschile, la dea Canestrella, simbolo della bellezza femminile, “U Musc”, dio della lussuria, e poi Cozza nera e Cozza pelosa, due dee che andavano sempre assieme e che rappresentavano una l’abbondanza e l’altra il gusto”.
Immancabile alla presentazione la partecipazione "pepata" di Tiziana Schiavarelli. Impensabile non chiudere lo "stravagante" appuntamento con una "sana" degustazione di delizie di mare: rigorosamente e profumatamente "crude"!
(gelormini@affaritaliani.it)