Salento, allappi
e mele cotogne
di Pino De Luca
Identità e grettezza di campanile non s'hanno da confondere. Avere una identità forte e radicata è, però, condizione necessaria per aprirsi allo scambio e al confronto, facendosi contaminare contaminando, in quello splendido rapporto che è alla base della evoluzione culturale.
Di piccoli alimenti qui ragioniamo e proviamo a ragionare, dando a Cesare ciò che a Cesare appartiene e, con grande sincerità, riconoscendo meriti e primazìe. Sarebbe bello che chiunque lo facesse. A volte, credo per pura ignoranza, ad altri sfugge e allora tocca lasciar stare l'edonismo e ricorrere alla precisazione.
Qualche anno fa, su un grande giornale quotidiano si raccontò di una ricetta con la mela cotogna espressa da un grande chef, e da qui nulla quaestio, ma sulla distribuzione e tipicità del frutto qualche cosa va detta.
Codogno è il comune simbolo del melo cotogno in quanto così si è qualificato, l'Istituto Agrario ne conserva ben 78 varietà e l'albero è nell'araldica del comune stesso e forse anche il nome da lì deriva.

Ma se sul finire dell’autunno si attraversano le campagne salentine non si può fare a meno di notare delle macchie di giallo sparse, un po' sospese e un po' sul terreno.
Mele cotogne che crescono spontanee da tempo immemorabile e per lungo tempo elemento fondamentale della alimentazione delle terre fra i due mari.
Cydonia oblonga si chiama, frutto delle rosacee di forma sferica o oblunga, dal sapore acre, tannico e stopposo, sostanzialmente incommestibile ma ricchissimo di proprietà salutari e capace di regalare profumi e dolcezze inenarrabili.
Infatti i suoi zuccheri sono raccolti in lunghissime catene di polisaccaridi termosensibili.
La cottura della melacotogna infrange queste catene e permette di produrre delle gelatine e delle marmellate (pardon confetture) di straordinario gusto e olfatto. Ogni pasticceria leccese e della provincia che si voglia dir tale ne ha in vetrina, e ciascuna con la propria ricetta e caratteristica. In forma solida o cremosa, chiara (con poco zucchero) o scura (molto più dolce). Marmellata (pardon confettura) a lunghissima conservazione se sopravvive agli assalti dello stuzzicadenti o del coltello a spatola.
La trappola è nelle parole, nei nomi. Il cotogno è un toponimo, il pomo venne così nominato da Plinio il vecchio poiché poveniente da viene da Kydon, cittadina dell'Isola di Creta.
Il cotogno, come pianta, ha origini caucasiche e i suoi frutti in antico greco si dicevano “Malìmelon” ovvero “mela di miele” proprio perché cotta era dolce e profumata come il miele, anzi lo sostituiva egregiamente.
Oggi la “cotognata” si racconta di Codogno o di Ragusa e financo come prodotto tipico dell'Abruzzo.

E noi Messapi e figli di Messapi, Grìki, Tulli e mescolanze varie che di cotognata ci nutriamo da secoli ne perdiamo ogni forma di memoria.
Non ci vuole grande genio, basta l'attenzione.
Attenzione che ci mancò e ci manca.
Altrimenti non accadrebbe che si legiferasse in codesta maniera: DpR 8 giugno 1982, n. 401.
….[si intende per] “marmellata, la mescolanza, portata a consistenza gelificata appropriata, di zuccheri e di uno o più dei seguenti prodotti ottenuti da agrumi: polpa, purea, succo, estratti acquosi e scorza.:”
Le cose incredibili sono due:
- che umane menti in alto scranno abbiano impiegato la bellezza di tre anni per tradurre tutto questo sapere da una norma di indirizzo (79/663) in Legge dello Stato.
- che si ignori che marmellata deriva dal portoghese “marmelo” ovvero mela cotogna che non è certo un agrume.
Prendo un pezzo di cotognata leccese per colazione, dolce e profumata come il miele. E doverle cambiare nome per una legge stupida è davvero una barzelletta.