Salento: terme, ballo e tavoli d'epoca
La mattina c’è un sole caldo mentre in tutta Italia si legge pioggia, e andiamo a Santa Cesarea Terme con i suoi palazzi moreschi e lo splendore del mare. Il "lido" Il Caicco si stende sulle rocce e scende sino al mare con una sequenza morbida di angoli suggestivi.
Sopra c’è l’Hotel Palazzo, con l’avvolgente splendore degli anni ‘20 ed un restauro conservativo che rinnova i colori, ma lascia intatti i tavoli d’epoca, le poltroncine Thonet, il bancone del bar. I lampadari imponenti riempiono i soffitti di luce, le applique si susseguono sui muri. Decori segnati da un passato splendore, quando le terme erano vacanza d’elite, con un pubblico selezionato ed elegante che univa ai trattamenti la massima mondanità dell’epoca.

Viene voglia di danzare nel grande salone, scrivere lettere con la penna sui tavoli scuri, ordinare il tè nel bar, rivivere il passato solo per un attimo. Sembra di essere nel film Grand Budapest Hotel, e raccontare la storia di questo albergo collegato in ogni piano alle terme per una intimità inviolabile dei suoi clienti.

Il pomeriggio siamo a Specchia, borgo rinomato fra i più belli d’Italia. Si sale e si scende, si visita il Frantoio, si sale in terrazza al Castello, dove si svolge la premiazione del Festival del Cinema del Reale, e dove si tornerà in tarda notte perché tutti i ragazzi della zona sono li a ballare con bella musica ed una voglia di eventi che li colleghino a realtà nuove, che fa pensare.
Il sindaco eletto da poco, Rocco Pagliara, vuole rafforzare la comunicazione sugli eventi di un posto così bello, per farlo apparire come è, fucina di creatività, dove i giovani, pensano, creano, realizzano ma ad oggi senza una diffusione che li aiuti a definirsi e a crescere. I giovani hanno bisogno di spunti ed emozioni, ed un borgo così bello deve riuscire a dare sensazioni nuove.

La sera si cena a Macinate Cantine 1931, un vecchio palmento risalente agli anni ’30 di Antonio Lia, che offre un vino generoso con un retrogusto di more che resta in bocca. La sua chef è Imma Pantaleo, per anni interprete del Bolina di Tricase, ed ora messaggera di una cucina sofisticata e pensata in questo posto di grande bellezza. All’interno i muri anneriti dei forni, le volte a stella, vecchie foto sbiadite in bianco e nero e le grandi vasche nel passato piene di vino.
Posto con un giardino sommesso nella penombra in cui mangiare, ma anche parlare, scrivere, pensare. La lunga attesa del cibo rivela una chef ancora priva del suo gruppo di lavoro, ma si annulla davanti al piatto di tubetti con le cozze, con il pane grattugiato .reso croccante su un letto di bufala. Il primo boccone è d’indagine, il secondo lento, assaporato, molto gradevole. E con Imma si parla della pasta, della cottura, della callosità, del grande impegno nella ricerca per preparare piatti che ricreino la tradizione salentina con il fascino però di ingredienti nuovi e di accostamenti inconsueti.