Vettor Pisani, Eroica/Antieroica
Ironia di una Retrospettiva
Vettor Pisani (Bari, 1934-Roma, 2011) non è stato solo uno dei testimoni e dei più importanti esponenti della ricerca artistica degli ultimi cinque decenni, ma un autore fra i più personali, provocatori e visionari della sua generazione, un vero e proprio precursore che ha unito l’investigazione concettuale all’ironia, il mascheramento alla ricerca della verità, la grande Storia alla cronaca, l’assoluto al banale, il sacro al profano, l’arte del passato alle lacerazioni del presente.
Concepita appositamente per gli spazi del Teatro Margherita di Bari, la mostra unisce due elementi caratterizzanti la pratica artistica di Vettor Pisani: la matrice teatrale e performativa di molte opere dell’artista – esaltata anche in considerazione dell’originale destinazione del Margherita, magnifico teatro liberty affacciato sul mare – e l’elemento dell’acqua, con cui l’artista stesso identificava la sua stessa posizione artistica in una ideale relazione con altri tre grandi artisti del suo tempo, a cui fece costante riferimento: Marcel Duchamp (aria), Joseph Beuys (terra), Yves Klein (fuoco) e appunto Pisani (acqua).
La mostra al Teatro Margherita di Bari completa la retrospettiva dell’artista attualmente in corso al MADRE-Museo d’arte contemporanea Donnaregina di Napoli, e ne rappresenta l’ideale continuazione, ricostruendo inoltre attraverso un’ampia documentazione la prima mostra di Pisani in un’istituzione pubblica, tenutasi nel 1970 al Castello Svevo di Bari in qualità di vincitore del Premio Pascali assegnatogli, quell’anno, dalla Galleria Nazionale d’Arte Moderna di Roma.
Disseminate di triangoli, cerchi e semi-croci, specchi e tavoli, labirinti e piramidi, padiglioni e modellini architettonici, alambicchi e clessidre, pianoforti e violini accostati a busti, manichini, calchi, fusioni di figure religiose, immagini di Edipo e La Sfinge di Gustave Moreau o dell’Isola dei morti di Arnold Böcklin, e popolate da un vero e proprio bestiario personale (come le tartarughe della performance Melanconica Pot. La tartaruga più veloce del mondo, presentata nel 1970 a Bari e ricostruita per la prima volta in occasione di questa mostra), tutte le opere di Vettor Pisani si situano in modo fluido oltre i confini che dividono fra loro discipline quali arte, poesia e letteratura, musica e teatro, architettura, filosofia, politica, psicoanalisi, scienza (comprese scienze occulte: simboli massonici ed ermetici, riti alchemici, dottrina rosacrociana), trovando proprio nella messa in scena teatrale e nell’adozione di un linguaggio performativo e narrativo la loro sintesi più compiuta.
Il nome adottato da Vettor Pisani per indicare questa sintesi di matrice teatrale e performativa della sua arte è R.C. Theatrum – ovvero teatro “rosacrociano” – la cui prima formulazione venne presentata alla Biennale di Venezia del 1976 e che verrà poi approfondita dall’artista in diverse versioni durante gli anni successivi, fra cui Il Teatro di Edipo, il Teatro della Vergine, Il Teatro della Sfinge, Il Teatro di Artisti e Animali, Il Teatro di Cristallo, /Virginia con i pesci rossi. I “Rosa Croce” – a cui il termine R.C. Theatrum fa riferimento – sono un leggendario ordine, fondato nel XV secolo ed identificato nei secoli successivi con simboli della rosa e della croce.
Quella che, dal XVII secolo, sarà conosciuta come “Società dei Rosa Croce” fu, più che un gruppo religioso reale, una fluida corrente di pensiero in cui si fondevano pratica dell’alchimia e pratiche occultistiche, misticismo ed ermetismo. Circondato dal mistero, il movimento ebbe comunque larga eco nei secoli, mentre dal XVIII secolo la sua storia si intreccia con l’origine della massoneria. Per Vettor Pisani la simbologia rosacroce acquisisce valore sia formale (l’impianto a semicroce dell’R.C. Theatrum, in cui la semi-croce è anche il simbolo beuysiano dell’Eurasia) sia soprattutto concettuale, a indicare un’ideale fusione di molteplici interessi e forme culturali, che configurano R.C. Theatrum come un museo ideale di tutti i saperi, l’articolazione dello spirito e della conoscenza umana universale.

Un teatro quindi che è un tempio di tutte le arti, della memoria e della storia, la composizione di una relazione fra stati o entità opposte (umano e animale; uomo e donna; vita e morte; umano e divino; eroe e antieroe), una soglia spazio-temporale fra epoche differenti, una rappresentazione della modernità e delle sue contraddizioni, una speculazione espressa attraverso l’ordinarietà del quotidiano, una scenografia per la discussione di questioni morali imprescindibili quanto insolubili e, infine, un museo dell’inevitabile distruzione e costante ricostruzione dell’arte, ovvero il luogo d’espressione di un’arte in perenne trasformazione performativa, senza soluzione di continuità fra le diverse opere in cui si manifesta.
Un’arte che, in modi bizzarramente dissonanti e spesso auto-ironici, “ci fa vedere l’indicibile”, come scriveva l’artista stesso, ovvero svela il rimosso della storia, sonda le profondità del senso delle cose, mette in immagine le idee dei filosofi, le visioni dei mistici, le illusioni del teatro, le finzioni della scrittura, i sogni e incubi della nostra psiche. In questa esplorazione Pisani coniuga su di sé figura e destino sia dell’eroe che dell’antieroe, identità frammentaria richiamata nel titolo della mostra, sia a Bari che a Napoli, che diviene metafora di un’umanità corrotta nel caos di una contemporaneità che, se ha smarrito l’essenza della conoscenza e l’impronta stessa dell’umano, rimane nondimeno pervasa da un anelito rigeneratore, dalla costante tensione alla forza onirica dell’immaginario, da un’insopprimibile ansia di significato, di unità, di bellezza. Riunendo per la prima volta opere e un essenziale corredo di documentazione, le mostre a Bari e Napoli permettono quindi di comprendere il valore seminale di una ricerca artistica assolutamente unica, riproponendo la straordinaria attualità di un artista radicalmente contemporaneo come appunto fu Vettor Pisani.
Mostra organizzata da Comune di Bari con Fondazione
Donnaregina per le arti contemporanee, Napoli

IL PERCORSO ESPOSITIVO
Il percorso espositivo si articola intorno ad alcuni nuclei fondamentali:
Una serie di fotografie documentarie di Claudio Abate, una medaglia commemorativa e la ricostruzione dell’opera Melanconica Pot. La tartaruga più veloce del mondo forniscono una ricostruzione documentaria e ripresentano alcuni elementi dell’allestimento della prima mostra personale dell’artista presso un’istituzione pubblica, quella tenutasi nel 1970 al Castello Svevo di Bari in qualità di vincitore del Premio Nazionale Pino Pascali assegnatogli, quell’anno, dalla Galleria Nazionale d’Arte Moderna di Roma. Compaiono qui, “in nuce”, una serie di elementi caratteristici della ricerca dell’artista, in particolare il proprio personale bestiario, come la tartaruga Melanconica Pot che, nel 1970, era posta sulla pedana a bordo di una macchinina telecomandata, andando molto più veloce del normale, per sfidare, quindi, la congruità del famoso paradosso greco sulla tartaruga e il Piè veloce Achille; ma anche le uova e gli uccelli, come nelle opere con le uova o l’uccello posto su una tavolozza di vetro di La lingua degli uccelli, o i cavalli del dipinto su PVC Miracle e i pesci del dipinto su alluminio Europa. Laboratorio della follia, che cita anche un tema drammaticamente attuale come quello dei migranti che attraversano il nostro Mediterraneo.
“R.C. Theatrum” - ovvero teatro “rosacrociano”, la cui prima formulazione venne presentata alla Biennale di Venezia del 1976 e che verrà poi approfondita dall’artista in diverse versioni ed enunciazioni negli anni successivi, fra cui Il Teatro di Cristallo (titolo del catalogo della mostra personale alla Galleria Civica di Trento, presentato in mostra) o in L’azzurro teatro della Vergine (versione, come altre non realizzate o non conservatesi, ricostruita in mostra attraverso una serie di documenti, collage e progetti architettonici originali). Per Pisani la simbologia rosacroce acquisisce valore sia formale (l’impianto architettonico dell’R.C. Theatrum, in cui la semi-croce è il simbolo, adottato da Joseph Beuys, del doppio continente dell’Eurasia ma anche la matrice di un Labirinto, come nell’omonima opera in mostra) sia soprattutto concettuale, a indicare un’ideale fusione performativa e narrativa di molteplici interessi e forme culturali, che configurano R.C. Theatrum come un museo ideale di tutti i saperi, l’articolazione dello spirito e della conoscenza umana universale. Un teatro che è quindi un tempio di tutte le arti, della memoria e della storia, la composizione di una relazione fra stati o entità opposte (umano e animale; vita e morte; eroe e antieroe; uomo e donna e umano e divino - come, fra le opere in mostra, in Angelo dell’Occidente).
Teatro, quindi, come soglia spazio-temporale fra epoche differenti, rappresentazione della modernità e delle sue contraddizioni, speculazione espressa attraverso l’ordinarietà del quotidiano, scenografia per la discussione di questioni morali imprescindibili quanto insolubili e, infine, come museo dell’inevitabile distruzione e costante ricostruzione dell’arte, ovvero luogo d’espressione di un’arte in perenne trasformazione, senza soluzione di continuità fra le diverse opere in cui si manifesta, in cui quindi vige la regola del doppio e del rispecchiamento, come nell’opera I gemelli (Segno zodiacale del genio).
Di qui una vasta serie di figure di ascendenza teatrale - disseminate fra cerchi, semi-croci, specchi, tavoli - come pupazzi (Io sono il pupazzo di Paracelso), manichini (Tavolo anatomico di Isidore Ducasse), figure di miti classici (magari rivestiti ironicamente di cioccolato, come per la Venere appoggiata su una struttura di specchi di Quadrato magico), ma anche attori, ballerine e giocolieri che ci riportano a una dimensione di diffusa messa in scena teatrale.

Simbologia ricorrente è infine l’isola, che evoca la dimensione acquatica, come nelle immagini dell’Isola dei morti di Arnold Böcklin (che compare in L’isola azzurra), spesso accompagnate dall’immagine di Edipo e La Sfinge di Gustave Moreau (come in La Sfinge: Edipo, l’Arte non salverà il mondo). Compaiono anche le isole di Capri e Ischia (come in Tre puntini viaggianti o, evocate, in alcuni Disegni nel tempo) e su tutto domina, appunto, il colore indistinto dell’acqua (elemento fluido con cui Pisani identificava la sua stessa posizione artistica), anche nell’adozione del blu di Yves Klein, a suggerire una progressiva smaterializzazione ed intensificazione dell’esperienza estetica, quale appunto in quell’installazione sinestetica, fluttuante fra architettura e musica, costituita da un lungo corridoio da cui si effonde il concerto per mano sinistra di Maurice Ravel e intitolata… Viaggio nell’eternità.
BREVE BIOGRAFIA
Vettor Pisani nasce a Bari nel 1934 (anche se l’artista, ricordando le origini della sua famiglia, dichiarava in alcune occasioni di essere nato a Ischia o a Napoli), e muore a Roma nel 2011.
Mostre personali gli sono state dedicate da istituzioni quali la Galleria Nazionale d’Arte Moderna, Roma (mostra al Castello Svevo, Bari, in qualità di artista vincitore del Premio Nazionale Pino Pascali) nel 1970, il Museum Folkwang di Essen nel 1982, la Diputació de Valencia nel 1990, la Galleria Civica d’Arte Contemporanea di Trento nel 1992, la Fondazione Morra-Palazzo Ruffo di Bagnara, Napoli nel 2011, e nel 2012, il MACRO di Roma a pochi mesi dalla scomparsa dell’artista.
Pisani ha partecipato a numerose mostre periodiche e biennali fra cui, oltre a Documenta V, Kassel, nel 1972, alla Biennale di Venezia (1972, 1976, 1978, 1984, 1986, 1990, 1993, 1995) e alla Quadriennale di Roma (1973, 1986, 1992), ricordiamo la XV Biennale, San Paolo del Brasile (1979) e la Nouvelle Biennale de Paris, Parigi (1973, 1985).