di Claudio Roma
Lavorava per le Ferrovie, precisamente per Rfi, la società delle infrastrutture. Poi si è ammalato di asbestosi. Quindi la morte. Una tragedia per la famiglia e i colleghi di lavoro.
Dopo anni di battaglie giudiziare, la sentenza pesantissima: per l'esposizione all'amianto di A. C., gli eredi avranno dalle Ferrovie un risarcimento di circa 750 milaeuro. In particolare 225 mila euro sono la quantificazione del danno per l'uomo; 144 mila euro a ciascuno dei due figli e 235 mila euro alla vedova, privata del marito e con una vita distrutta dal dolore per una responsabilità di Rfi, riconosciuta con la sentenza 6817 della Corte d'Appello di Roma, sezione Lavoro Presidenza e Assistenza.
Il collegio composto da Giovanni Pascarella, presidente e dai consiglieri Vittoria Di Sario e Guido Rosa, ha riconosciuto per i parenti diretti dell'uomo, il danno “jure hereditario”, liquidandolo all'attualità e comprensivo di rivalutazione e interessi legali.
Il giudizio arrivato al secondo grado è stato proposto dall'Ona, la più importante associazione nazionale che difende i diritti dei lavoratori esposti alle fibre d'amianto. Secondo gli atti del fascicolo, l'uomo che lavorava prima a Torino, presso le Officine Grandi Riparazione e successivamente a Roma Termini, per diverso tempo sarebbe stato esposto all'amianto privo di maschera protettiva.
Spiega l'avvocato Ezio Bonanni, presidente dell'Ona e difensore degli eredi delle vittime: “La decisione di condanna della Corte di Appello rende giustizia ad A.C. e alla sua famiglia, dopo anni nei quali le Ferrovie dello Stato hanno negato anche l'evidenza. Il rammarico è costituito dal fatto che si tratta di una morte evitabile. Sarebbe bastato non utilizzare il materiale cancerogeno o anche soltanto dare al lavoratore le maschere protettive per evitare che inalasse le fibre killer”.
Secondo l'Ona le richieste di risarcimento dei lavoratori delle Fs esposti ad amianto, già presentate, avranno in questa sentenza “un precedente significativo”.
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