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Roma
Roma, cimitero dei feti: il garante per la privacy sanziona Comune e Ama
Cimitero dei feti abortiti

Il Comune di Roma e Ama sono state sanzionate, mentre l'Asl Roma 1 è stata ammonita, per aver violato la privacy di donne che avevano affrontato interruzioni di gravidanza nel cimitero dei feti abortiti al Cimitero Flamini: i nomi delle donne erano infatti stati indicati nelle targhette sulle croci.

Questo non solo viola la privacy in generale, perché rende note informazioni relative allo stato di salute, ma viola anche la legge sull'aborto, la 194 del 1978, che tra le altre cose prevede riservatezza per le donne che decidono di abortire. Secondo la legge infatti i “prodotti del concepimento” di meno di 20 settimane possono essere sepolti solo con il consenso dei genitori. Per i nati morti la sepoltura è sempre prevista. Per i feti abortiti, invece, la sepoltura viene essere disposta dalla struttura sanitaria anche senza la richiesta dei genitori.

Il punto è che va comunque rispettata la riservatezza. Secondo l'istruttoria del Garante, l'Asl Roma 1 avrebbe trasmesso la documentazione con i dati identificativi delle donne ai servizi cimiteriali, che le avevano inserite nei registri cimiteriali. Ecco perché l'ente è stato ammonito a far sì che non sia più possibile risalire all'identità delle donne che hanno deciso di abortire. Per il Comune la sanzione è stata di 176mila euro, mentre per Ama di 239mila.

I radicali: “Una vittoria per persone che vedono calpestare i loro diritti”

Il radicali cantano vittoria dopo la pronuncia del Garante della Privacy. “Dopo due anni di denunce, udienze, inchieste giornalistiche nazionali ed internazionali - scrivono in una nota Giulia Crivellini e Francesca Mingiardi, avvocata e tesoriera di Radicali Italiani - che, con la campagna Libera di Abortire, abbiamo promosso per sostenere le centinaia di donne che dopo aver abortito a Roma hanno scoperto il loro nome su una croce cattolica al Cimitero Flaminio di Prima Porta, oggi viene resa pubblica una pronuncia storica del Garante per la protezione dei dati personali che condanna Roma Capitale al pagamento della somma di 176mila euro per la diffusione illecita di dati relativi alla sfera di riservatezza e salute delle donne, riconoscendo al contempo le responsabilità di Ama e della Asl Roma 1 nella violazione del diritto all’anonimato"

"A seguito delle evidenze - proseguono - emerse negli atti processuali della nostra azione civile presso il Tribunale di Roma riteniamo la pronuncia del Garante per la Privacy un’enorme vittoria per le migliaia di persone che, non solo a Roma, vedono calpestati i propri diritti. In questi anni abbiamo posto le armi del diritto al servizio dei diritti, anche e soprattutto di quelli riproduttivi, per ricordare che la nostra libertà di scelta non può ritrovarsi crocifissa e negata in una qualsiasi fase dell'interruzione volontaria di gravidanza. E continueremo a farlo. Le nostre conquiste a Roma segnano un precedente chiaro per tante altre amministrazioni italiane rispetto a procedure che ancora oggi diventano occasione per scorrettezze colpose o dolose nei confronti di diritti garantiti dalle leggi".

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