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Abete: "Conte è il ct azzurro grazie alle mie dimissioni"

"Senza le mie dimissioni, Conte non sarebbe diventato ct della Nazionale". A dirlo, a Sport 2000, il programma sportivo di Tv 2000 condotto da Giampiero Spirito, e' Giancarlo Abete, ex presidente della Figc e vice-presidente dell'Uefa. "Se fossi rimasto - ha spiegato l'ex numero uno della Federcalcio - non sarebbe stato lui il tecnico della Nazionale, non perche' non l'avrei scelto, ma per un fatto di tempistiche, visto che era ancora impegnato con la Juventus. E' stato deciso che il nuovo tecnico sarebbe stato correttamente indicato dal nuovo presidente federale dopo l'elezione, e questo ha fatto si' che il tecnico sia stato scelto dopo l'11 agosto".

Sulle accuse a Conte di frode sportiva Abete afferma: "Conte, che ha sempre professato la sua estraneita', ha avuto una sanzione da parte della giustizia sportiva in relazione alle vicende legate al fenomeno delle scommesse, sanzione che poi ha scontato. E' in atto un iter della giustizia penale, che ovviamente avra' un suo seguito, pero' io parto da un presupposto: da una parte bisogna rispettare le decisioni degli organi di giustizia, sia sportiva che penale, dall'altra, nel momento in cui una sanzione e' stata scontata, si riprende la piena dignita' e titolarita' del proprio ruolo". Abete torna anche sulle sue dimissioni da via Allegri, date dopo il flop mondiale assieme all'ex ct Prandelli: "Gia' nel gennaio 2013, quando fui riconfermato a larghissima maggioranza presidente della Federazione, avevo detto che sarebbe stata la mia ultima candidatura. Quando c'e' stata la sconfitta al Mondiale, anche se eravamo arrivati secondi agli Europei e terzi alla Confederation Cup, iniziava un nuovo ciclo e ho ritenuto di lasciare libero il campo per consentire da parte del mondo del calcio una riflessione sul futuro".

"Sarei potuto rimanere probabilmente per un paio di anni - ha proseguito - fino alla fine del mandato, ma forse avrei dato degli alibi, nel senso che si voleva rimanere ad ogni costo e non si andava ad affrontare i problemi, problemi che non erano contingenti, ma strutturali, frutto di sette anni di difficolta' del Paese, che in parte hanno determinato degli effetti anche sulla competitivita' del mondo del calcio". Capitolo Cesare Prandelli: "Direi che non e' stato un atto di fuga - rileva Abete - perche' e' andato via nel momento di maggiore negativita' per lui, ma forse anche un atto di generosita' il fatto di capire che non sarebbe stato opportuno utilizzare una situazione di natura contrattuale per continuare. E' andato in conferenza stampa e ha detto che il suo progetto sportivo non si era realizzato e che aveva il dovere di staccare la spina. I contatti con il Galatasaray sono stati successivi alle sue dimissioni. Lui voleva rimanere, il Mondiale e' andato molto male e quindi ha ritenuto che non ci fossero piu' le condizioni per restare". Abete ricorda poi l'udienza da Papa Francesco del 13 agosto 2013: "E' stato uno dei momenti piu' belli della mia presidenza. Dopo aver presentato i giocatori della Nazionale, mi sono permesso di aggiungere, al discorso che avevo preparato e, come consuetudine, consegnato, la particolare soddisfazione per me, che sono stato 11 anni dai gesuiti, di avere il primo papa gesuita della storia. Il Santo Padre mi ha risposto: 'Anche lei ha contratto questo virus!'".

Infine, Abete ha ammesso che "i momenti brutti della mia presidenza sono quelli collegati alla violenza negli stadi, alla morte di Gabriele Sandri, anche se avvenuta a centinaia di chilometri dallo stadio, e alla scandalo delle scommesse".

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