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Esteri
Regno Unito? Ora sarà solo Inghilterra. Vecchio impero a rischio disgregazione

Boris Johnson ha il mandato a governare più forte dai tempi di Tony Blair, dopo anni e anni di leader deboli e azzoppati. Ma il Regno Unito rischia di diventare paradossalmente più debole, se non addirittura di disgregarsi in diversi Stati. Ironia della sorte e di un lungo processo che ha polarizzato, ancor più di quanto già non fosse in precedenza, lo scenario interno all'ex più grande impero al mondo. Dopo il trionfo dei Tory alle elezioni di giovedì 12 dicembre, il Regno Unito sarà sempre più sinonimo di Inghilterra. Mentre la Scozia ha già annunciato che chiederà un secondo referendum di indipendenza e la riunificazione dell'Irlanda non sembra più una prospettiva impossibile.

Ha tutto origine dal referendum del 2016, quando il voto rese già chiaro che il desiderio di Brexit era prettamente English, anzi era nato proprio sul principio secondo il quale il Regno Unito è l'Inghilterra. Sentimento ben incarnato da Nigel Farage e dalle sue creature politiche, Ukip prima e Brexit Party poi. Un voto, quello del 2016, che ha creato una netta frattura tra Inghilterra pro Leave e Scozia e Irlanda del Nord pro Remain, accentuando le differenze storicamente già esistenti. Theresa May non poteva incarnare quel desiderio English che invece Boris Johnson rappresenta in modo quasi plastico. 

L'identità dell'Inghilterra esce dunque rafforzata dal voto, molto meno quella British in senso ampio. Già, perché in Scozia i nazionalisti hanno fatto il pieno. Lo Scottish National Party ha conquistato 48 dei 59 seggi a disposizione, guadagnandone 13 rispetto alle elezioni del 2017 (resta imbattuto invece il record di 56 raggiunto nel 2015). Il trionfo della premier scozzese Nicola Sturgeon si è realizzato non solo dai danni del Labour ma anche dei conservatori, che hanno perso 6 seggi in terra di Scozia.Così come è sttao chiaro il voto dell'Inghilterra, è stato chiaro quello della Scozia. L'Snp ha infatti costruito la sua campagna elettorale sul voto anti Tory per dire no alla Brexit. E ora, già prima di Natale, Sturgeon potrebbe chiedere un decreto per concedere un secondo referendum di indipenza dopo quello del 2014. E stavolta tutti gli indizi sembrano far credere che l'esito sarebbe diverso. 

La concessione al referendum non è scontata e c'è già chi parla di "scenario catalano", con il governo Johnson non intenzionato a concedere il voto agli scozzesi. Più in prospettiva, è facilmente pronosticabile l'apertura di un contenzioso legato anche all'Irlanda del Nord. La questione del confine tra Belfast e Dublino resta infatti ancora aperta e le spinte alla riunificazione all'interno dell'isola irlandese stanno aumentando. 

Sul piano geopolitico, il Regno Unito di Johnson sembra indirizzato a rafforzare e riaffermare l'asse atlantista con gli Stati Uniti di Donald Trump, uno dei suoi più grandi sostenitori a livello internazionale. Ma, allo stesso tempo, difficile che Londra tagli i ponti con il principale rivale strategico di Washington, la Cina. Johnson, che punterà a trasformare il Regno Unito in una sorta di Singapore d'Europa, avrà bisogno del maggior numero possibile di canali o accordi commerciali, non solo quello che verrà costituito con Bruxelles entro la fine del 2020. 

twitter11@LorenzoLamperti

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