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Che cos'è la "Brexit"

Il termine “Brexit”, abbreviazione di "uscita britannica", che si ispira al termine “Grexit” coniato a suo tempo a proposito della Grecia, si riferisce alla possibilità di uscita della Gran Bretagna dall'Unione Europea. Un certo numero di partiti politici britannici sostiene un referendum sull'adesione all'UE; il più importante è il partito conservatore, che ha promesso un referendum nel 2017, mentre l'UK Independence Party (UKIP), continua ad opporsi all'adesione della Gran Bretagna alla UE.

Secondo uno studio della Bertelsmann Stiftung, la più grande fondazione operativa privata non profit in Germania, creata nel 1977, i cittadini europei vedono la UE come garante del welfare: da Lisbona a Helsinki, le persone oscillano fra speranza e paura quando si tratta del futuro del “welfare state”. Soprattutto, i cittadini sono preoccupati per le pensioni e l'assistenza agli anziani. La maggioranza conta sull'UE per conservare gli standard di assistenza sociale e vorrebbe addirittura che Bruxelles assumesse un ruolo più attivo.

Ma al di là di speranze e considerazioni soggettive, converrebbe dal punto di vista economico alla Gran Bretagna uscire dalla Unione Europea? No. Il costo sarebbe certamente sproporzionato.

Sempre secondo la Fondazione Bertelsmann Stiftung, ai britannici la “Brexit” costerebbe 300 miliardi di euro in 12 anni e un conseguente consistente calo del PIL. Tentativi della Gran Bretagna di contrastare il progetto di unità europea risalgono a decenni fa e proseguono ancora adesso. L'affermazione alle elezioni europee dell'UKIP, il partito antieuropeo britannico,  ha indotto il premier David Cameron ad alzare la posta con le richieste inviate al presidente del Consiglio Europeo, Donald Trunk. Incombe, come detto, il referendum pro o contro la UE. 

Secondo il Financial Times, il governo non ha adeguatamente considerato che cosa accadrebbe se un elettorato scontento sostenesse la Brexit. Questo darebbe a David Cameron (o più probabilmente il suo successore come Primo Ministro) un chiaro messaggio per uscire dalla UE, ma senza una chiara indicazione su cosa mettere al suo posto. “La Gran Bretagna dovrebbe cercare qualche tipo di accordo oppure dovrebbe recidere tutti i legami e, come fecero gli Elisabettiani, cercare di ricostruire le sue fortune sulla scena mondiale?” si chiede il quotidiano britannico.

Una Gran Bretagna staccata dall'UE potrebbe fare gli affari propri e, ad esempio, potrebbe chiudere le sue frontiere ai migranti. “Il trucco è quello di essere populista anti-tutto: anti-élite, anti-grande impresa, anti-globalizzazione, anti-Bruxelles e, naturalmente, anti-immigrazione” prosegue con perplessità il Financial Times. E conclude: “Gli amici della Gran Bretagna capiscono le necessità della “realpolitik”. I leader di Stati Uniti, Australia, Canada, India, Giappone, e non solo loro, sono però stupiti che la Gran Bretagna debba contemplare la Brexit. Anche il nuovo migliore amico di David Cameron, il presidente cinese Xi Jinping, sta sostenendo gli europeisti. Solo a Vladimir Putin piacerebbe vedere una Gran Bretagna indebolita”.

Un po’ diverso è il punto di vista di Graeme Leach, senior fellow presso l'Istituto Legatum di Londra. Secondo lui la maggior parte delle analisi dell'impatto della Brexit naturalmente si concentra sui costi e benefici economici di questa scelta.

Ma per quanto riguarda il potenziale impatto sul benessere soggettivo, o la qualità della vita? Brexit renderebbe le persone più felici?” si chiede il commentatore. “Ci sono anche domande più profonde riguardanti gli atteggiamenti verso libertà e controllo economico, le cui risposte non possono essere limitate al solo si-no della votazione, ma che in ultima analisi influenzano il benessere soggettivo su questo tema”.

Non va dimenticato in ogni caso che nel 2016 il tema Brexit potrebbe compromettere anche il mercato dei cambi fra Sterlina e altre valute.